Drone per il soccorso in montagna, si avvicina l’ora del suo utilizzo

Nuovo test in Valle d’Aosta del drone-sherpa ottenendo risultati soddisfacenti, ormai bisogna solo perfezionarlo. Si tratta di un progetto europeo con numerosi partners e l’Università di Bologna capofila

 

 

Procedono alacremente i test del drone Sherpa da parte dell’Università di Bologna e la società slatech (in collaborazione con il Cai); trattasi di una piattaforma robotica in grado di aiutare i soccorritori impegnati in attività in ambienti ostili (valanghe, zone montuose anguste, ecc). Le prove si sono svolte a Pila in provincia di Aosta.

“I test – fanno sapere dall’Università di Bologna – hanno simulato dispersi sulle piste e sono state effettuate varie prove, le quali miravano a testare caratteristiche tecniche del drone e a capire il possibile utilizzo in una tipica missione di ricerca di dispersi sotto le valanghe effettuate dal CAI”. E proprio il Cai entro l’anno dovrebbe dotarsi di tale dispositivo che si presenta rivoluzionario ed utilissimo per salvare vite umane. Basti pensare che una persona sotto una valanga ha circ 15 minuti di sopravvivenza; con l’utilizzo di un drone individuarlo è molto veloce…

 

 

A Pila, in particolare sono stati effettuati esperimenti ricercando ARTVA multipli posti ad una distanza di 30-40 metri dal drone, per capire se era possibile distinguere i diversi segnali e a che distanza era possibile rilevarli.

Un’altra prova più realistica è stata effettuate ricercando un dispositivo ARVA sepolto sotto la neve in posizione non nota, in un area di 30×40 metri che rappresenta circa la metà/un terzo della superficie di una missione tipica. In un tempo di circa 1.30 minuti il dispositivo è stato rintracciato, mentre in un totale di circa 4 minuti il drone ha individuato la presenza del dispositivo con un errore di circa 1 metro. Insomma, si è sulla buona strada e tutto fa sperare per il meglio che il nuovo dispositivo possa essere utilizzato entro breve. La celerità nell’intervento è strategica per salvare una vita umana ma gli aspetti positivi riguardano anche i costi, in quanto ci sono differenze abissali dall’uso dell’elisoccorso da quello del drone. In  generale, diciamo, che cambieranno radicalmente strategie e procedure nel soccorso alpino.

“Durante il test le velocità del drone erano state limitate per sicurezza – dice il coordinatore del progetto europeo, il prof. Lorenzo Marconi del Dipartimento di Ingegneria elettrica e dell’informazione dell’Università di Bologna (Ateneo Capofila del progetto) – e quindi hanno influenzato negativamente il tempo di rintracciamento. In futuro questi stessi tempi potrebbero essere realizzati per aree molto più grandi dell’area testata in questa occasione. I tempi di volo, dai 22 ai 30 minuti), sono risultati soddisfacenti anche con le basse temperature e sufficienti per una missione tipica”.

 

 

Sono state effettuate prove coinvolgendo i soccorritori e un cane del gruppo cinofilo, per verificare il comportamento di quest’ultimo con la presenza del drone, e per capire le possibilità di effettuare una ricerca in contemporanea drone-cane senza che si disturbino a vicenda.

“I risultati – conclude Marconi – sono molto soddisfacenti anche se rimane del lavoro per perfezionare il raggio di rilevamento degli ARTVA, che ora si assesta sui 15 metri e per rendere il più autonomo possibile il drone”.

E’ un progetto Europeo, con un Consorzio di 10 partners. SHERPA riunisce università di tutta Europa – l’ETH di Zurigo, l’Università di Napoli Federico II, la svedese Linkopings Universiteit, l’Università di Brema, l’università di Twente e la Katholieke Universiteit di Leuven. Bologna ne è capofila. Fanno parte del consorzio anche due piccole e medie imprese e il Club Alpino Italiano.

 

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