“Johann Westhauser non è ancora fuori, ma abbiamo fatto un bel pezzo”

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L’uomo di Stoccarda gravemente ferito a 900 mt di profondità per una caduta massi

Una lunga notte per i soccorritori nella grotta Riesending-Schachthöhle: hanno accompagnato per 70 ore verso l’uscita Johann Westhauser, lo speleologo di Stoccarda rimasto gravemente ferito per una scarica di sassi lo scorso 8 giugno, ad oltre 900 metri di profondità nella grotta dell’Alta Baviera. Ad intervenire 12 tecnici speleo della VI Delegazione speleologica Veneto – Trentino Alto Adige, del Cnsas, Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico. “Non è ancora fuori, la strada è lunga, ma abbiamo fatto un bel pezzo – sottolinea il vicedelegato della VI Zona Giovanni Ferrarese, sceso con la prima squadra italiana venerdì sera – Johann è un grandissimo esploratore e speleologo, così la sua tempra. La chiave di volta è stato lui: quando ha visto tante persone pronte a mettersi in gioco, che pensavano ‘questo lo tiriamo fuori a qualsiasi costo’, la situazione clinica è cambiata. Mano a mano che andavamo avanti recuperava”.
Il soccorso organizzato messo in atto dalle squadre italiane ha permesso di far risalire di quota velocemente la barella. “Questa mattina alle 6.30 – aggiungono dal Cnsas Veneto -, dopo aver affidato nella notte la barella a una nuova squadra, a forze fresche, i soccorritori avevano raggiunto il campo 2 a – 490 metri, per poi proseguire in un intervento che ha richiamato un centinaio di soccorritori provenienti da tutta Europa. Italiani, svizzeri, tedeschi, austriaci, croati”.
“Si è lavorato bene. A quelle profondità è determinante un soccorso organizzato, come quello italiano – continua Ferrarese – gioca avere dalla nostra una struttura ben oliata, tecnici abituati a quelle quote (non ce sono tantissimi), a rimanere dentro 70 ore, intervallandosi nei campi base, certo, con squadre di 15-17 persone. Il tempo di progressione è determinato dal medico: se dice che la barella va fermata, si ferma. Si monta una tendina in cui i sanitari procedono alle cure richieste, mentre fuori gli altri provvedono ad attrezzare nuovi tratti, si riposano. Se il medico dice che la barella va trasportata orizzontale, bisogna trovare il modo di farlo. Ovunque. Tempistica e modalità del trasporto sono dettate dai medici”.
La ‘chiamata’ è arrivata venerdì. Alle 16, con gli altri soccorritori italiani, erano già pronti a entrare, ma una serie di temporali ha impedito il decollo dell’elicottero che li avrebbe trasportati fino al campo avanzato, poco distante dall’apertura della grotta. L’ingresso è così avvenuto attorno alle 21. “Nella prima squadra eravamo in 17, tra attrezzisti e barellieri, 20 con medici e infermiere – ricorda  Omar Canei, feltrino, della Stazione speleo Veneto Orientale – abbiamo avuto la consegna dai soccorritori svizzeri e abbiamo iniziato il trasporto, da subito impegnativo, attraverso gallerie lunghe centinaia di metri, con strettoie, massi, ostacoli”. Dopo le prime 15 ore è arrivata la seconda squadra. Quindici ore di progressione più la decina di ore richieste per scendere fino dal ferito fanno 25 ore ininterrotte di attività: “La seconda squadra ci ha dato il cambio – prosegue Canei – poi le due squadre italiane si sono alternate sfruttando i campi base per riposarsi, mangiare. Ognuno di noi ha avuto due turni di recupero, nel frattempo il ferito era sottoposto al trattamento sanitario”. Omar Canei, come gli altri soccorritori, ha già alle spalle esperienze personali a quelle profondità: “L’esperienza sviluppata è estremamente utile, anche se durante un soccorso si fa più fatica, tanta più fatica”.
Durante le rare pause si cerca di riposare e mangiare. Carboidrati, proteine, grassi, tutto serve per recuperare le forze. Così una minestra di spaghettini, pane e pezzetti di speck diventa un pasto nutriente, accettabile, caldo. Paolo Grotto, infermiere feltrino della Stazione Veneto Orientale, sceso anche lui venerdì, ha affiancato il medico e l’infermiere che avevano accompagnato la barella nei primi 100 metri: “Nella mia squadra c’erano anche un medico austriaco e uno tedesco – racconta Grotto – un’equipe sanitaria completa, ognuno con la sua specializzazione, una presa in carico totale. Con l’avanzare della barella, le condizioni del ferito sono migliorate. Non si è risolto il trauma, ovviamente, dal punto di vista clinico, ma trovarsi con tante persone pronte ad aiutarlo lo ha tirato su di morale. Così come quando ha visto superare alcuni punti che lui, profondo conoscitore della grotta, reputava difficili. Ha sorriso quando siamo arrivati al Campo 3. È un uomo combattivo, determinato ad uscire. Riconosceva i tratti in cui si passava. Conosce ogni sasso della grotta. Scendere a quelle quote è molto impegnativo dal punto di vista sia fisico che psicologico. È necessario avere esperienza, più che preparazione, perché devi sapere cosa vuol dire avere un percorso lungo tante ore per l’uscita. Devi essere tranquillo, aver già vissuto l’esperienza. Così sei in grado di affrontarla”.
Soccorritori italiani sono arrivati da tutte le Delegazioni del Cnsas, da Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria, Toscana: “Nel ’91 in Slovenia morì un soccorritore a – 1000 metri. Da allora l’Italia si sta preparando – conclude Paolo Grotto – uniformando tecniche e strumenti, esercitandoci assieme Delegazioni e regioni diverse, con un backgound formativo identico. Questo è il risultato di anni di lavoro. Dà sicurezza, fiducia”.
Molti altri soccorritori di Delegazione erano pronti a partire, se fosse stato necessario. I dodici che hanno preso parte all’intervento sono: della Stazione di Vicenza, il padovano Giovanni Ferrarese e i vicentini Fernando Sampò e Stefano Panizzon, della Stazione di Verona, Samuele Busatto e Glauco Lasagni, della Stazione Veneto Orientale i bellunesi Omar Canei e Paolo Grotto, il padovano Andrea Pirovano e i trentini Paolo Trainotti, Mauro Bombardelli, Paolo Stenico e Carlo Mattedi.

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