Pan de mej, mito gastronomico della tradizione lombarda

La Panigada legata a povertà e carestie oltre che ad un’usanza di buon auspicio nella ricorrenza di San Giorgio

panigada

 

In tanti, ed in particolar modo quelli appassionati di ghiottonerie dell’alta Lombardia, il “pan de mej” lo definiscono “dolce antico che racchiude quella meraviglia degli antichi sapori di un tempo passato”. E’ del pan Meino o paniga (che, in dialetto lombardo significa sambuco a richiamo dei suoi fiori che decorano questo dolce) che tratteremo per onorare uno dei maggiori miti gastronomici della tradizione lombarda.
In questa regione del nord Italia c’è proprio una particolarità interessante: la tradizione dolciaria della panigada (che anticamente era realizzata con la sola farina di miglio che richiama, in botanica, il nome scientifico panicum miliaceum) è sempre presente in ogni città lombarda. E, come spesso in ogni tradizione che si rispetti, l’invenzione di una pietanza è legata a povertà, saccheggi, carestie, sommosse popolari. E’ in mezzo a questi avvenimenti, sia pure tristi, che la mente contadina si industriava per creare focacce dolci con semplici ingredienti utilizzando proprio il miglio che, col tempo, fu sostituito da una più ricca farina di granoturco. Il miglio, del resto, era conosciuto sin dalla preistoria quando serviva per impastare con l’acqua e formare focacce. Ben presto divenne “pane quotidiano” per le popolazioni dell’Asia, dell’Africa, dell’Europa. Sumeri, babilonesi, persiani, egizi e poi romani e greci gradivano il miglio quanto il farro, il grano o l’orzo. Fu però nel primo medioevo che gli impasti col miglio divennero addirittura dei sostituti della carne anche nei periodi di digiuno dettati dalla chiesa.

 

Il pane di miglio è a lungo conservabile: ragion per cui la storia narra che Venezia, che conservò queste focacce nei magazzini, si salvò dalla carestia in seguito all’assedio dei Genovesi nel 1378. La preparazione di dolci con farina di miglio e di frumento, a cui si univa burro, zucchero, uova e fiori di sambuco essiccati era un abitudine casalinga quasi sacra.
L’origine del pan de mej è legata pure ad un’usanza di buon auspicio: il 23 aprile, nel giorno di san Giorgio, si rinnovavano i contratti di latte tra mandriani (la transumanza delle mandrie avveniva nelle valli bergamasche) e lattai. Gli animali sostavano in stalle nella zona dell’ospedale Niguarda-Ca Granda e fornivano latte per gli ammalati. Queste stesse stalle furono poi distrutte per costruire le barricate durante le Cinque giornate di Milano nel 1848. Il dolce preparato con il latte di queste mandrie divenne uno dei simboli più cari per la Lombardia.

 

Per la preparazione del pan de mej occorreranno 150 gr di farina bianca, 150 gr di farina gialla fine, 150 gr di farina gialla grossa, 125 gr di burro, 200 gr di zucchero, 20 gr di lievito di birra, 3 uova, 2 cucchiai di fiori di sambuco, un goccio di latte, un po’ di farina per lo stampo, zucchero vanigliato, un pizzico di sale.
In una tazza si scioglierà nell’acqua tiepida il lievito frantumato. A parte in una ciotola setacciate le farine e mescolatele assieme. Poi aggiungete il sale, lo zucchero, circa la metà dei fiori di sambuco, il burro ammorbidito, le uova ed il lievito. Dopo aver amalgamato il tutto formatene una palla e lasciatela riposare per alcune ore ricoperta da un canovaccio. Imburrate e infarinate una placca da forno. Poi, in maniera distanziata, collocate i dischetti di pasta che avranno un  diametro di circa 8 cm , spolverizzateli con lo zucchero a velo e aggiungete i rimanenti fiori di sambuco. Infornate, in forno già caldo, a 180° per circa mezz’ora. Servite freddi o tiepidi.

 

Silvia De Cristofaro
s.decristofaro@mountlive.com

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