Un cimitero chiamato Everest

Negli ultimi tempi molti quotidiani di settore e non hanno trattato il problema. Quale? I morti lasciati sulla via dell’Everest. Sono più di 200. Operazione difficile e costosa rimuoverli. Trovarli. Molti di loro sono lì da qualche parte, come quello di Andrew Irvine dal quale ritrovamento si potrebbe chiarire una volta per tutte il mistero più grande dell’alpinismo mondiale: fu Irvine e Mallory a salire in vetta per la prima volta (1924) oppure tranta anni dopo furono Edmund Hillary e Tenzing Norgay il 29 maggio 1953? Ma questa è un’altra storia e la raccontiamo QUI.

Dicevamo, sull’Everest ci sono oltre 200 cadaveri, alcuni addirittura utilizzati per seguire la via, ad alcuni di essi è stato dato un nomignolo da alcuni particolari del “cadavere ghiacciato”, quale il colore degli scarponi, le braccia tese verso l’alto, ecc ecc. Sono lì e chissà per quanto altro tempo vi rimarranno.

Come quello di Tsewang Paljor, un alpinista indiano morto a 28 anni. Paljor è morto indossando degli scarponi verdi – in certi momenti ancora visibili – ed è conosciuto come “Green Boots”. Il suo corpo, divenuto ormai simbolo di questo scempio, è stato finalmente rimosso.

Green_Boots

Ci sono morti restati lì a partire dagli anni ’20, da quando si cominciò a scalare la montagna. Ma la maggior parte sono però lì dagli anni Ottanta, da quando l’Everest è iniziato a diventare una meta turistica, un obiettivo raggiungibile anche da non professionisti.

C’è la singolare storia di David Sharp, alpinista inglese morto nel 2006 all’età di 34 anni.  Sharp morì nei pressi di “Green Boots” e fu scambiato dai compagni di scalata proprio per lo scalatore indiano dagli scarponi verdi e non venne soccorso. Lì morì per assideramento. Fino al 2008 rimase nella grotta dove trovò la morte.

Poi una storia tragica dal sapore romantico. Coloro che furono denominati Romeo e Giulietta della Guerra Fredda. Nel maggio del 1998, il russo Sergei e l’americana Francys raggiunsero la vetta dell’Everest ma nella discesa Francys Arsentiev fu colta da mal di montagna. Il marito rientrò per chiedere aiuto e poi ripartì. Morì nel tentativo disperato di salvarla.

Ma sono tanti gli alpinisti che giacciono sul freddo Everest. Ognuno con una storia, la loro storia…

Nel 2010 il Governo nepalese organizzò una spedizione formata da alpinisti e sherpa per rimuovere i cadaveri… portarono giù, a quanto pare, soprattutto rifiuti, bombole di ossigeno vuote e corde…

Quindi, perché sono ancora lì quei corpi? Perché in molti casi è quasi impossibile recuperarli e perché recuperarli è operazione molto onerosa e poi ci sono anche dei casi in cui i familiari dei morti hanno deciso – conoscendo le volontà di chi è poi morto – di lasciarli dove sono.

morti everest peter boardman Francys Arsentiev everest

Per il recupero di un corpo occorre una spedizione di sei-otto sherpa e i costi possono essere di diverse migliaia di euro. Bisogna individuarlo, scavare attorno e poi un cadavere che normalmente pesa 80 chilogrammi arriva a pesare, quando gela, 150 chilogrammi.

Ok, tutto quel che volete… ma come si fa a passare accanto (se non sopra) ad un cadavere per salire su una montagna? Quasi fosse un reperto turistico, qualcosa da far vedere a quei turisti che sganciano fior di monete per salire sul Tetto del mondo! Come facessero parte del panorama, quasi come si volesse rendere più suggestiva la salita o renderli simboli e testimonianze di grandi imprese finite tragicamente!

Un Commento

  1. Che tristezza! Tutte queste persone esposte alla vista di estranei. Nessuna possibilità di lasciarli coperti e protetti dalla vista di chi passa vicino a loro?
    Le tombe, come scriveva Foscolo, non alleggeriscono il duro sonno della morte, ma offrono un simbolico ricordo per chi ci seguirà.

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