Facci difende l’intervista a Moro
Filippo Facci non se l’è tenuta ed ha risposto a Simone Moro dopo le lamentele di quest’ultimo all’intervista pubblicata su Libero. Lo ha fatto sul magazine MountainBlog.it. A Moro non era andata giù ed anche la Lunger aveva attaccato più che altro il titolo. Mount Live riportò le loro prese di posizione in merito, potete leggerle qui.
Questo quanto replica Facci; intervento che pubblichiamo integralmente:
Spettabile MountainBlog,
ho atteso il termine del Trento Film Festival – cui ero presente, grazie a voi – per scrivervi e non interferire neppure minimamente alla giusta ed ecumenica celebrazione dell’ascesa di Simone Moro e Tamara Lunger al Nanga Parbat. Nei giorni precedenti, tuttavia, c’era stata qualche trascurabile polemica legata a una mia lunga intervista a Moro: quest’ultimo aveva scritto su Facebook che non gli erano piaciuti «il tono, il titolo e i virgolettati» e, pur premurandosi di considerarmi suo amico, aveva aggiunto varie considerazioni legate a un certo malcostume giornalistico di bassa quota.
Tra i risultati c’è che, anche tra i suoi fans e commentatori, qua e là, sono fioccati appellativi di «pennivendolo» (per me) o insulti al quotidiano dove scrivo (Libero) o al titolista dell’intervista, che ovviamente non sono io. Un collega della Gazzetta dello Sport, Alessandro Filippini, si è spinto a definirla «pseudo intervista» e ha sottoscritto una frase di Tamara Lunger («la piu grande cagata di titolo che ho letto») aggiungendo questo: «Penso che basti e avanzi sul giudizio che si può dare all’operato di chi firma l’articolo».
A futura memoria, mi limito a qualche precisazione.
1) L’intervista è interamente registrata (circa un’ora e mezza) con registratore ben visibile a Moro. Lo stesso registratore ogni tanto veniva spento ed era appoggiato sullo stesso tavolo sul quale aveva registrato altre due interviste a Moro pubblicate nel novembre scorso: una su Libero e un’altra su Icon, periodico legato a Panorama. Moro evidentemente non aveva eccepito circa queste lunghe interviste da me scritte e pubblicate con eguale stile.
2) Poiché tra le accuse rivolte all’intervista c’è quella di aver riportato «troppo», preciso che Moro mi aveva chiesto di non scrivere certe cose e io infatti – benché le abbia registrate – non le ho scritte: e non c’è stato bisogno di spegnere il registratore perché io non le riportassi. Sono moltissime, queste cose, e ritengo di doverle tenere per me. Gli avevo premesso che la mia intenzione, con l’intervista, era «rompergli un po’ i coglioni» e lui aveva accettato, replicando peraltro: «Bene, mi piace». Aggiungo che qualsiasi giornalista «normale», e non amico di Moro, probabilmente avrebbe viceversa pubblicato tutto, ma proprio tutto: è la ragione, normalissima, per cui di norma a fare certe interviste mandano degli «inviati» (come io sono) e non persone amiche dell’intervistato (come pure io sono, anzi ero).
3) Nessun contenuto dell’intervista è stato smentito, neanche nelle modeste parti inedite: anzi, qualcuna è stata confermata durante il Trento Film Festival. Più in generale, l’intervista per la prima volta riassumeva il quadro generale o aspetti che erano sparpagliati qua e là o, ancora, che erano conoscenza esclusiva degli addetti ai lavori. La considero tutt’ora una buona intervista, ed ero anche convinto, me ingenuo, che a Moro sarebbe piaciuta, come gli erano piaciute le altre mie.
4) Non sta a me difendere un titolo che non ho fatto, precisamente questo: «Senza la Lunger saremmo morti sul Nanga Parbat». I titoli sono quelli che sono, ma c’è da chiedersi se il titolo appaia così diverso da quello pubblicato da El Pais (Spagna) il 4 aprile scorso: «El gesto de Lunger que salvó la vida a sus compañeros en el Nanga Parbat». Insomma: se il maldestro resoconto sul «caso Lunger» è un po’ sfuggito di mano, come altri resoconti, non è detto che la colpa sia tutta e solo dei giornalisti.
5) Sui quali giornalisti, cioè i colleghi, preferisco non esprimermi: il caso di Alessandro Filippini li riassume tutti. Contattato personalmente, mi ha successivamente dato ragione, e mi ha riferito che un’altra persona (non Moro) però gli aveva riferito che l’intervista non era autorizzata. Filippini non aveva neppure verificato l’informazione. L’ammissione di colpa, un po’ tartufesca come tutto un certo mondo dell’alpinismo, non è stata però sufficiente a fargli cambiare una riga di quanto ha scritto sul suo blog: a oggi, la mia rimane una «pseudo intervista» e, così pure, la frase della Lunger «la più grande cagata di titolo che ho letto», secondo Filippini, «basta e avanza sul giudizio che si può dare all’operato di chi firma l’articolo».
6) Ne approfitto per ringraziare i tanti che hanno gradito l’intervista (i cui contenuti nessuno smentirà mai, state tranquilli) e per precisare che l’interruzione dei miei rapporti con Moro, data la situazione in cui mi ha messo, è dovuta a una mia iniziativa e gliel’ho comunicata il 3 maggio scorso. Tanto vi dovevo. Grazie.
Filippo Facci