Furtenbach: “Everest in 7 giorni con Xenon? Sicurezza non velocità”

Everest: i quattro xenon-man inglesi di Furtenbach sono rientrati a casa. Sono atterrati all’aeroporto di Heathrow di Londra alle 6:05 ora del Regno Unito di ieri, ovvero sei giorni e 13 ore dopo essere partiti per il Nepal. Nel frattempo sono arrivati in vetta all’Everest (in elicottero sino al campo base), senza passare per la normale fase di acclimatazione che conosciamo e ciò tramite l’utilizzo del gas xenon inalato in una clinica tedesca prima della partenza.
Questo gas, vietato negli sport professionistici dall’Agenzia mondiale antidoping (WADA) in quanto sostanza dopante, stimola la produzione naturale di eritropoietina (EPO), un ormone che aumenta i globuli rossi, col risultato di migliorare la capacità del corpo di adattarsi all’altitudine.


In vetta Garth Miller, Alastair Carns, Anthony Stazicker e Kev Godlington. Tutti ex militari. Il progetto si chiama 7 Days Mission Everest.


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Come è normale che sia, ciò ha perto un dibattito e probabilmente questo nuovo metodo avrà un impatto sulle spedizioni future.

Furtenbach e Xenon: Il progetto Everest 7 giorni è importante perché…

Il promotore del progetto, Lukas Furtenbach spiega perché il progetto Everest in 7 giorni è importante.
“Scalare l’Everest non significa mai solo raggiungere la vetta. Si tratta di spingere i confini umani in modo sicuro, responsabile.
La Missione Everest di 7 giorni non è mai stata una bravata, anche se il risultato è un record per la spedizione più veloce di andata e ritorno sull’Everest. È stata una spedizione meticolosamente pianificata per esplorare il futuro dell’alpinismo ad alta quota. Sostenuti da anni di ricerca, protocolli di acclimatazione guidati da esperti e dal supporto salvavita dell’applicazione all’avanguardia di XENON. Abbiamo voluto dimostrare che con la giusta tecnologia, preparazione ed etica è possibile accelerare l’ascesa, senza compromettere la vita.
Abbiamo avuto un monitoraggio continuo SpO2, assistenza di emergenza 24/7, simulazione in quota per pre-acclimatazione e un team di sicurezza dedicato. Ogni passo è stato calcolato, ogni rischio attenuato.
Il nostro obiettivo? Migliorare la sicurezza in montagna per tutti, non per glorificare la velocità.
Niente inseguimenti per i titoli,  ma fatto solo per la sicurezza. L’Everest non perdona le scorciatoie. Punisce l’arroganza. Questa montagna esige rispetto. La missione 7-Day è stata un tributo a questo rispetto, un test controllato, non un modello da seguire ciecamente.
Lo abbiamo fatto per il bene dei futuri scalatori, guide, Sherpa e soccorritori. Spingiamo i confini, ma mai a costo di vite.
E un aspetto importante da non dimenticare: i quattro scalatori lo hanno fatto per un progetto di beneficenza. Ognuno di loro porta una storia plasmata da servizio, sacrificio e resilienza. Non si tratta solo di raggiungere il vertice, si tratta di superare i limiti, ispirare gli altri e sensibilizzare le persone sulle cause che contano profondamente per loro. Non si limitano a scalare una montagna, portano un messaggio di speranza”.

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