Invernali Ottomila: ora l’ultimo “scoglio” è il K2

Con la conquista del Nanga Parbat da parte di Txikon, Moro e Sapdara, gli occhi del mondo alpinistico si spostano all’ultimo Ottomila ancora inviolato in inverno. Il K2, la montagna degli italiani. E se fosse ancora un italiano a metterci la firma?…

k2

 

Ha resistito, ha resistito tanto, e alla fine si arreso. Archiviato il Nanga Parbat, gli occhi del mondo alpinistico sono ora rivolti all’ultimo grande “scoglio”: il K2. L’unico Ottomila ancora inviolato nella stagione invernale. La montagna degli italiani, salita per la prima volta il 31 luglio 1954 da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. E se fosse un altro italiano a mettere il proprio nome nella casella mancante della storia degli Ottomila? Beh, lo speriamo proprio… Intanto qualcosa già si muove. La notizia è di qualche settimana fa: Krzysztof Wielicki, autore di molte salite storiche, avrebbe intenzione di organizzare e guidare una spedizione internazionale proprio sul K2. Wielicki ha calcolato che per un tale progetto occorrono 200.000 euro ed intende reclutare i migliori alpinisti invernali del momento. Innanzitutto i polacchi.

 

ottomila

foto: wikipedia

 

La cronistoria degli Ottomila dice che il primo ad essere salito in invernale è stato sua maestà l’Everest nel 1980 per mano (e piedi) dei polacchi Krzysztof Wielicki e Leszek Cichy.

Da lì partì la corsa agli Ottomila e nella scaletta, 4 anni dopo, precisamente il 12 gennaio 1984, fu inserito il Manaslu sempre ad opera di polacchi (Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski).

Un anno e tocca addirittura a due Ottomila: il 21 gennaio il Dhaulagiri (Jerzy Kukuczka-Andrzej Czok) ed il 12 febbraio il Cho Oyu (Maciej Berbeka-Maciej Pawlikowski).

Trascorre un altro anno e l’11 gennaio del 1986 Kukuczka e Wielicki salgono in vetta al Kangchenjunga. Una spedizione tragica questa, in quanto perse la vita il polacco Andrzej Czok a causa di un edema polmonare durante la via di salita.

E siamo al 1987: tocca all’Annapurna. Il 3 febbraio sale in vetta Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer.

Un altro anno e riecco Krzysztof Wielicki che tocca la vetta del Lhotse il 31 dicembre 1988.

Poi lo stop, di Ottomila in invernale non se ne sente più parlare. Ma sulla scena appare l’italiano Simone Moro. Nel 2005 l’alpinista bergamasco, insieme a Piotr Morawski, sale lo Shisha Pangma.

Poi bisogna attendere il 9 febbraio 2009, sempre ad opera di Moro: il Makalu salito insieme al russo Denis Urubko.

Una coppia affiatata questa, perché due anni dopo Moro e Urubko, il 2 febbraio del 2011, sale sul Gasherbrum II (8035 mt); stavola con loro anche l’americano Cory Richards.

E siamo al 2012: il 9 marzo è la volta del Gasherbrum I per mano dei polacchi Adam Bielecki e Janusz Golab.

Un anno dopo, lo stesso Adam Bielecki, con i polacchi Maciej Berbeka, Tomasz Kowalski e Artur Małek mettono la loro firma sulla vetta del Broad Peak. Era il 5 marzo 2013. Purtroppo anche tale spedizione si trasforma in tragedia: Maciej Berbeka e Tomasz Kowalski perdono la vita.

 

nanga parbat

 

E siamo ad oggi, o meglio a ieri: il 26 febbraio l’italiano Simone Moro, lo spagnolo Alex Txikon e il pakistano Ali Sapdara “espugnano” il Nanga Parbat, dopo anni ed anni di spedizioni vane e tentativi da parte di tantissimi alpinisti. Con loro l’italiana Tamara Lunger che si ferma a poche decine di metri dalla vetta.

 

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