La montagna del futuro si arricchisce della differenza emozione-esperienza
Oggi in merito alla montagna sembra assistere sempre più ad una linea di demarcazione che pare farsi sempre più netta tra chi vuole che la montagna resti lontana dal turismo di massa e chi non vede nulla di peccaminoso nel poter godere e far godere delle bellezze della natura sino a ieri precluse o chiuse in una scatola magica.
Basti pensare a cabine sospese, passeggiate nel vuoto, reality tv o alla nuova Skyway Monte Bianco. Oppure per rendere meglio l’idea basta riferirsi alle vette alpine della Svizzera, dove quelle ormai senza alcuna struttura turistica si contano sulle dita di una mano. Lì si trova di tutto: ristoranti, negozi Lindt e souvenir, palazzi del ghiaccio, notti negli igloo, ponti sospesi che attraversano ghiacciai e tanto altro. Il turismo montano lì va in estasi.
Tralasciando il discorso, assolutamente non secondario, che le montagne non devono essere “deturpate”, scavate ecc ecc, è utile concepire la distinzione tra emozione ed esperienza. Emozione in montagna. Esperienza in montagna. L’una distante ed intrinseca all’altra ma piena solamente in modo unidirezionale riferendosi all’esperienza. Perché chi fa un’esperienza alpinistica od escursionistica vive emozioni dense, piene non riferite solo al senso visivo o poco più (ludico-consumistiche) ma giungono di dentro. Giungere a Punta Hellbronner ed ammirare a 360° quelle visioni provoca emozioni, gli occhi giocano a ping pong tra una vetta e una cresta e un ghiacciaio e un seracco. Si riempiono di emozioni e fotografano – semmai con qualche selfie – quelle immagini per immagazzinarle e raccontare a sera del lunapark cui si è stati. Starci, però, su quella vetta, salire su quelle creste, evitare quei seracchi è un’altra cosa, non è solo emozione ma è emozione + esperienza, esperienza che a sua volta produce altri tipi di emozioni. Emozioni profonde.
Forse ciò può aiutare ad affrontare le nuove visioni della montagna. Visioni distinte e distanti. Ma restare chiusi su visioni puriste potrebbe essere dannoso e lasciar campo aperto al nuovo mondo. Bisogna incontrarlo questo mondo, sedersi al tavolino, mediare, incanalare. Ebbi a dire in altro articolo qualche tempo fa che la montagna è terreno vergine da conquistare non più solo dalle cordate di alpinisti ma da cordate di capitali. E ciò soprattutto in un’era dove si è consumato e mangiato di tutto e le alte quote sono terreno da esplorare e divorare perché serbatoio di attrattive, ciò anche considerando che la crisi economico-finanziaria costringe ad essere geniali per sopravvivere.
Il Direttore