Una banca del seme per salvare l’orso marsicano

Orso marsicano: specie a rischio? Pare che in tutto l’Appennino centrale se ne contano una cinquantina di esemplari. È un animale molto schivo, timoroso, e non si conoscono, a memoria d’uomo, episodi di aggressività nei confronti dell’uomo. Un esemplare maschio può arrivare a pesare oltre due quintali mentre le femmine mediamente, pesano la metà.

Nel corso dell’inverno, gli orsi marsicani si rintanano in cavità naturali o da loro scavate per passare in uno stato di torpore, non un vero e proprio letargo, dai tre ai quattro mesi, a seconda delle condizioni climatiche. In questo periodo le femmine, dopo l’accoppiamento – che avviene in tarda primavera – danno alla luce da uno a tre cuccioli che accudiranno per circa due/tre anni prima di allontanarli e cercare un altro partner. Queste cure parentali così prolungate fanno sì che una femmina si riproduca (a partire solitamente dal 4 -5 anno di età) in media ogni quattro anni. In natura vive anche più di venti anni.

L’Agi ha intervistato Corradino Guacci presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”.

Oggi è necessaria una nuova strategia ad hoc per questo raro endemismo italiano, anzi il più minacciato mammifero italiano. Il territorio del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise rappresenta la sua zona di diffusione principale. Ma non è pensabile aumentare la popolazione all’interno di questo territorio perché è già al limite, tant’è che diversi esemplari, in particolare maschi, compiono spostamenti anche di centinaia di chilometri alla ricerca di un proprio territorio e, possibilmente, di una femmina con cui riprodursi.

Una soluzione proposta consiste nel traslocare qualche femmina selvatica in altri territori dove arrivano i maschi in dispersione. Considerando che il numero delle femmine in età riproduttiva è molto basso, poco più di una decina, è una soluzione a mio avviso troppo rischiosa. Un animale catapultato in un territorio a lui sconosciuto può facilmente andare incontro ad una fine prematura e, considerati i numeri, non ci possiamo permettere un simile azzardo. Diversa è l’idea di costituire una popolazione in cattività con l’obiettivo di aumentare il numero totale degli orsi marsicani viventi ed in particolare delle femmine. La popolazione in cattività potrebbe fornire delle femmine cui affidare il ruolo di fondatrici di nuovi nuclei riproduttivi. La costituzione di una banca genetica, sembra una ovvia parte di questa strategia, ma in Italia non è mai stata valutata sotto il profilo della fattibilità. Non è esente da difficoltà tecniche ed organizzative ma in altri Paesi nel mondo si lavora già in questo settore. Basterebbe inserire – aggiunge Guacci all’Agi – nel protocollo di cattura anche il prelievo di liquido seminale assieme ad altri tessuti.

Nel corso degli ultimi dieci anni hanno messo a punto tecniche, metodologie e strumenti per il prelievo di seme agli orsi bruni. Basterebbe un workshop con questi tecnici per addestrare i nostri veterinari delle aree protette dell’Appennino centrale interessate dalla presenza attuale e/o futura dell’orso per avviare la realizzazione della banca genetica. Il problema sta solo ed esclusivamente nella volontà politica di investire uomini e risorse in questa direzione.

Ma l’orso bruno marsicano è a rischio estinzione? Da circa un secolo il numero di esemplari è stabile ma questo non deve farci dormire sonni tranquilli. Se la popolazione fosse colpita, ad esempio, da una patologia epidemica aggressiva?

In questo caso si perderebbe una popolazione appenninica, la sottospecie marsicana unica al mondo e si andrebbe poi semmai ad omologare la popolazione di orsi in Italia dalle Alpi all’Appennino.

Guacci aggiunge:

Come dicevo prima è un problema di volontà politica e di un diverso paradigma scientifico. I gestori della conservazione dell’orso marsicano, il Ministero dell’Ambiente, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA e il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, devono decidere di sposare politiche più incisive e integrative di quelle contenute nel PATOM, il Protocollo di Azione e Tutela dell’Orso Marsicano. Ad oggi le banche genetiche vengono utilizzate per lo più per conservare germoplasma di piante selvatiche e coltivate o liquido seminale di razze pregiate di animali da reddito (bovini, equini ecc.). Negli Stati Uniti la banca genetica si è dimostrata fondamentale per la sopravvivenza del furetto dai piedi neri, salvato da completa estinzione quando era ridotto a meno di dieci individui.

Come si procede?

Si dovrà per prima cosa mettere mano alla realizzazione di una banca genetica che, come abbiamo visto, non comporta difficoltà particolari o costi di rilievo ma semplicemente una volontà politica e una acquisizione di tecniche e metodologie. Per la conservazione dei materiali biologici già si sono offerte diverse Università per ospitarli, gratuitamente, nelle loro banche genetiche già esistenti e create per gli animali da reddito.

fonte: agi 

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