Nanga Parbat, il racconto di Cala Cimenti

Il resoconto della spedizione sul Nanga Parbat. Cala Cimenti ha postato qualche ora fa sulla sua pagina Facebook:

“Forse è meglio che togli gli sci e scendi coi ramponi”. Ecco le parole che mi son sentito dire in inglese con il tipico accento grezzo dei russi da Vitaly Lazo quando ci trovavamo a circa 8080 mt sul Nanga Parbat.

Sotto di me l’incredibile paesaggio che si può ammirare solo da una montagna così alta e con l’aria così rarefatta. Sono i momenti in cui il sole sta per scomparire all’orizzonte e sembra che tutto si addormenti e la temperatura cala drasticamente, le ombre delle montagne si allungano inghiottendo tutto il terreno sottostante.

Sono bloccato, fermo, con uno zoccolo incredibile di neve e ghiaccio sotto entrambi gli sci, ad un’altezza superiore agli ottomila metri e sta venendo buio, Vitaly mi guarda da poco più in basso e decide di aspettarmi, di vedere cosa faccio. Col cazzo, penso, che rinuncio a questa discesa con gli sci dopo tanto averla desiderata ed essere passato attraverso a tanti sacrifici per arrivare fino a qui, fino a sentire il classico rumore degli scarponi da sci che che si fissano all’attacchino nell’atmosfera rarefatta della zona della morte di questa magnifica, incredibile montagna, nel punto più in alto possibile per sciare, a circa 8080 mt.

Più o meno un’ora prima, verso le 17:30 sono arrivato in cima e per qualche minuto ho goduto del paesaggio e delle emozioni forti di quel momento tutto da solo, poi è arrivato Vitaly, e ancora dopo Anton, facciamo le foto di rito, ridiamo, scherziamo, ci abbracciamo e poi è ora di scendere che sta venendo buio. Anton, che è quello del gruppo che di sciare non gliene frega niente e che ha comunque lasciato il peso di quel fardello duecento metri più In basso, si avvia a piedi senza esitazione, percorrendo in discesa la traccia di salita. Vitaly ed io invece scendiamo con più circospezione cercando sulla destra ogni piccolo dettaglio che possa far supporre un’entrata in un canale che avevamo notato già salendo. Il segnale arriva a 8080 metri, calziamo gli sci, come al solito Vitaly lascia a me il compito di entrare nel canale, e non che io mi tiri indietro, effettivamente muoio dalla voglia di sciare , e di entrare per primo. Entro dentro tagliando a destra e poi faccio subito una curva verso sinistra e mi accorgo che c’è qualcosa che non va, lo sci è frenatissimo e io utilizzo le poche energie rimaste per rimanere in piedi.

Col cazzo che rinuncio a questa discesa, e mi ricordo di avere nello zaino un coltello robusto che mi porto sempre dietro e che in questa spedizione mi è servito già una volta per liberare un piede rimasto incastrato in un groviglio di vecchie corde fisse che ho dovuto tagliare. In un attimo lo prendo e inizio a usarlo come la spatola per togliere la paraffina. Mi accorgo che il lavoro sarà lungo e dico a Vitaly che sarà lunga ma che i ramponi non li metto e lui decide di aspettarmi, e così inizio sto faticoso lavoro di ripulitura: nei giorni precedenti siamo partiti dal campo base con le pelli montate e le abbiamo lasciate montate per quattro giorni di seguito per poter percorrere vari tratti fino al C4 e poi ancora verso la cima con gli sci ai piedi ottenendo il doppio risultato di galleggiare di più sulla neve e togliere il peso degli sci dalle spalle. Il problema è che tra sole, caldo e freddo, parte della colla si è staccata dalla pelle rimanendo attaccata alla soletta degli sci formando poi, con l’abbassarsi delle temperature di notte, uno strato coriaceo di colla molto abrasivo e ghiaccio che già così rendevano impossibile la sciata, in aggiunta a questo strato si è attaccato pure uno zoccolo di neve.

Sono stranamente freddo, non provo emozioni di rabbia o di sconforto, cerco di eseguire il lavoro il prima possibile ma fatto bene. Mi dispiace solo per Vitaly che è lì che mi aspetta. Non sono preoccupato, le previsioni non danno brutto tempo in arrivo, non c’è particolare vento e sono vestito bene, non ho freddo. Tra una spatolata e l’altra prendo anche la luce frontale e poi mi distraggo un attimo ad osservarmi intorno, wow ma dove cavolo mi trovo? Sono nello spazio, tutte le stelle intorno, il cielo sta diventando nero, ora tolgo la gravità e inizio a fluttuare. Ma le poche lucine lontane della civiltà laggiù in basso, così lontane, mi riportano un po’ in me e mi sbrigo a finire il lavoro. Sarà passata poco meno di un’ora, ormai è buio e scendiamo con le frontali accese. Io non ci penso un attimo, mi butto nel canale senza neanche verificare che non abbia dimenticato qualche zona di colla.

Che bello! Sto sciando il Nanga Parbat e sono sopra gli 8000 metri. Faccio una curva, poi un’altra, la neve è cartone ma non importa, è bellissima, le gambe bruciano, i polmoni sono dei mantici che non riescono più a recuperare tutto l’ossigeno necessario, ma non importa, voglio continuare a sciare, sono felice, sono dove voglio essere e sto facendo quello che volevo fare, sto sciando sul Nanga Parbat. Mi fermo solo quando realizzo che sto per svenire, mi riprendo un attimo e poi mi giro a cercare Vitaly che vedo che sta scendendo lentamente e lo vedo titubante a sciare su sta neve e di notte, poi faccio mente locale e penso che siamo su un pendio esposto che se scendiamo troppo saltiamo il traverso verso destra che ci deve riportare al C4 e ci ritroviamo in una zona non felice.

Non possiamo assolutamente scendere sotto i 7400 mt, guardo l’altimetro che segna ancora 7800 mt, bene posso ancora sciare e godermela, intanto con la coda dell’occhio cerco anche la traccia di salita, non si sa mai, avere qualche punto di riferimento, specialmente in queste situazioni, non guasta mai. Aspetto Vitaly che arriva e mi suggerisce che è più sicuro togliere gli sci e scendere coi ramponi, e che dobbiamo anche cercare Anton. Questa volta il “col cazzo che tolgo gli sci” non mi esce proprio esplicitamente dalla gola, sono molto più diplomatico e gli dico che se si sente più sicuro lo faccia, che io provo a scendere ancora un pezzo.

In effetti la neve non è proprio facile da sciare e ogni tanto stacca anche delle placche insidiose. Ma diamine, ormai sono in ballo e ballo, da qui non scenderò mai più e quindi giù, io da solo, le stelle, vedo anche una stella cadente, la neve cartone che anche così sento mia amica e poi la gioia, la felicità, la fatica che c’è ma che non senti.

Ecco, in questo momento sono Cala che sta facendo la cosa più importante della sua vita, quella per cui ha lavorato tanto e fatto tanti sacrifici, quella cosa che nei mesi passati non voleva neanche provare a visualizzare nella sua mente tanto ci teneva.

Duecento metri sotto di me vedo tre luci frontali che parlottano, poi due di loro si staccano e iniziano a camminare verso destra sul traverso che li riporterà a c4. Ma allora quello fermo che aspetta è Anton, gli faccio un urlo e non risponde, faccio ancora un paio di curve e urlo di nuovo, perché non so fischiare , risponde, è proprio lui, lo raggiungo e mi chiede subito di Vitaly, gli dico che sta scendendo a piedi e poi gli chiedo se non vuole mettere gli sci che faremmo prima, ma lui grugnisce, va bè aspettiamo Vitaly. Ecco ho di nuovo il tempo per guardarmi intorno, l’ambiente è veramente incredibile, tutto veramente buio, solo le stelle e qualche luce in basso di paesi lontani. Non c’è vento e non mi sento assolutamente in pericolo, anzi sono assolutamente a mio agio, potrei stare qui per sempre, è così bello…

Arriva Vitaly e faccio un timido tentativo di far rimettere loro gli sci che viene subito rispedito al mittente e allora penso che siamo una squadra e siamo amici, ed è meglio che torniamo tutti e tre insieme al C4 e tolgo gli sci, anche se so che me lo rimpiangerò per sempre: il traverso è lunghissimo, questa montagna si potrebbe chiamare la montagna dei traversi, e farlo con gli sci vorrebbe dire impiegarci almeno la metà del tempo, ma va così, tolgo gli sci e li sistemo sullo zaino e quei maledetti dei miei amici non mi aspettano neanche, iniziano a partire. Poco male mi godo la camminata in discesa tutta in solitaria contemplando un temporale lontano che illumina il cielo coi suoi lampi rendendo tutto più magico.

Ancora il tempo per scrivere un messaggio tramite Inrerach per rassicurare chi mi sta vicino che va tutto bene e che sto rientrando tranquillo al C4, e pensare a quando le racconterò questo momento a voce, con le stelle, i lampi lontani, la serenità di chi è nel posto giusto al momento giusto e la fatica, quella bella, che ti entra nei muscoli ma che non riesci a non provare piacere nell’averla.

Il rimpianto di non avere tenuto gli sci arriva 15 minuti dopo con la prima fastidiosa contrattura alla schiena che mi obbliga a fermarmi per sciogliere i muscoli per poi ripartire. Operazione che verrà ripetuta un milione di volte, ma finalmente sono al C4 a circa 7200 mt mezz’ora dopo gli altri, mi fanno aspettare ancora dieci minuti fuori perché Vitaly sembra una vecchia comare, deve mettere ordine e fare le pulizie proprio ora: gli scafi degli scarponi di qua, l’imbrago di là e via così, intanto Anton scioglie la neve per fare acqua per reidratarci.

Finalmente entro, mi infilo nel sacco a pelo e bevo, mi sforzo almeno di bere, visto che di mangiare nessuno ha voglia, ma soprattutto nessuno ha voglia di cucinare o forse siamo solo tanto stanchi. Mi giro nel mio sacco a pelo, siamo stanchi ma siamo contenti, felici, è ora di scrivere per bene a Patata (@erika siffredi), inizio a digitare sulla tastiera del mio Inreach ma a metà frase lo strumento mi cade perché mi sono addormentato, mi batte sul naso e mi risveglio, mi sforzo e riesco a terminare il messaggio. È tempo di andare dormire, neanche il tempo di pensarlo che già riapro gli occhi col sole del mattino.

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