Farinello buon-enrico, buono per palato e salute

In Italia centrale chiamato orapo. Il farinello buon-enrico dalle ottime qualità nutritive

Il Farinello buon-enrico (nome scientifico Chenopodium bonus-henricus L., 1753), in Italia centrale chiamato Orapo, è una pianta erbacea perenne ed edule della famiglia delle Chenopodiaceae, diffusa in tutta la penisola italiana. Chi non li conosce ormai? Gli orapi si trovano da diversi anni anche nei menù dei ristoranti, molti escursionisti al rientro da lunghe camminate trovano spazio nello zaino per una frittatina o un piatto di pasta con questo gustoso (e nutritivo) ortaggio. Si trovano per lo più nelle vicinanze degli stazzi o nelle radure dedite al pascolo. Il sapore? Son spinaci selvatici.

Parliamo di una pianta dalle ottime qualità nutritive e da un sapore che ai più piace. Negli ultimi anni ha acquisito anche un notevole valore economico. Tanto che un kg raggiunge alcune decine di euro. Fatto che, purtroppo, ne sta causando un raccolto indiscriminato.

Il nome generico (Chenopodium) deriva dalla particolare conformazione delle foglie simile al piede dell’oca : dal greco ”chen” (= oca) e ”pous” (= piede) oppure ”podion” (= piccolo piede). Il nome specifico (bonus-henricus) è stato assegnato da Linneo per onorare Enrico IV di Navarra, chiamato appunto dai francesi “Le bon Henry” che tra l’altro fu un protettore dei botanici.

Altri testi propongono un’altra etimologia: in riferimento al dio della casa “Enrico” in quanto queste piante facilmente crescono vicino alle abitazioni. Il binomio scientifico attualmente accettato (Chenopodium bonus-henricus) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 –Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753. In lingua tedesca questa pianta si chiama Guter Heinrich; in francese si chiama Chénopode bon Henri oppure anche Épinard sauvage; in inglese si chiama Good-King-Henry.

Descrizione delle parti della pianta

Sono piante perenni di tipo erbaceo ma a volte quasi arbustivo con portamento eretto-ascendente a forma vagamente piramidale. Queste piante vengono classificate tra le “apetale” in quanto prive di corolla (il perianzio è presente ma ridotto). Si distinguono inoltre in quanto le foglie sono prive di ocrea e la pianta in generale non ha lattice e neppure peli urticanti, bensì peli di tipo viscido anche se prevalentemente è glabra.
Possiedono un odore erbaceo particolare e un caratteristico “indumento” farinoso (vedi il nome comune) sui fusti e sulle foglie. L’altezza di queste piante può oscillare da 20 a 60 cm. La forma biologica della specie è emicriptofita scapose (H scap); ossia sono piante perenni con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve. Sono inoltre dotate di un asse fiorale eretto e spesso privo (o con poche) foglie.

Radici
Le radici sono secondarie da rizoma.

Fusto
Parte ipogea: la parte sotterranea del fusto è un grosso rizoma.
Parte epigea: la parte aerea del fusto è eretta-ascendente con la superficie solcata e la forma cilindrica. I fusti di questa specie sono semplici o scarsamente ramosi.

Foglie
La disposizione delle foglie lungo il fusto è alterna. Le foglie sono intere e farinose; sono picciolate e saettiformi o triangolari-astate con base troncata. La larghezza massima della foglie è nella parte inferiore della lamina. In genere il colore delle foglie di sopra è verde scuro e di aspetto farinoso e più chiaro di sotto.
Alla base possiedono due grossi denti rivolti verso il basso, mentre il resto della lamina è lievemente ondulato. Lunghezza del picciolo alla base della pianta: 1 – 2 dm. Dimensioni della lamina: larghezza 3 – 7 cm; lunghezza 5 – 8 cm.

Infiorescenza
L’infiorescenza del farinello buon-enrico è priva di brattee ma è fogliosa nella parte basale; la forma è quella di una spiga di densi glomeruli informi interrotta in alcuni punti e di colore rosso-brunastro. Ogni glomerulo contiene diversi fiori globosi verdastri e sessili. L’infiorescenza è principalmente terminale; sono comunque presenti dei brevi glomeruli di fiori all’ascella delle foglie inferiori.
A volte la parte terminale dell’infiorescenza può essere piegata dal proprio peso. Lunghezza dell’infiorescenza terminale: 5 – 20 cm. Diametro dei glomeruli : 3 – 5 mm.

Fiore
I fiori sono ermafroditi, pentameri (i vari verticilli – calice e stami – sono formati da 5 parti) e attinomorfi. Dimensione dei fiori: 1 – 2 mm.
Calice: il calice è formato da 5 parti saldate alla base formante un tubo ma con le estremità libere. Questi elementi in questo caso vengono chiamati tepali o anche sepaloidi. La parte libera è oblunga o ellittica con apice ottuso. La consistenza è erbacea. Anche questi elementi sono farinosi e ricoprono gran parte (ma non tutto) il frutto a maturità; il loro colore è bruno-rossiccio soprattutto verso la fruttificazione. Lunghezza del tubo: 0,4 – 0,6 mm. Dimensioni delle parti libere : lunghezza 0,8 – 1,5 mm; larghezza 0,5 – 1,1 mm.
Corolla: la corolla è assente (dato caratteristico di tutto il genere, ma anche della famiglia).
Androceo: gli stami sono 5 nei fiori terminali dell’infiorescenza, mentre nei fiori in altre posizioni più laterali gli stami sono 2, 3 o 4; la posizione degli stami è opposta ai tepali (obdiplostemonia).
Gineceo: gli stili possono essere due con stimma bifido. Il gineceo è bi-carpellare su un ovario supero uni-loculare con placenta centrale libera (dalla quale si può sviluppare una capsula monosperma).
Fioritura: da giugno a settembre.
Impollinazione: tramite insetti.

Frutti
Il frutto è una capsula che alla maturità diventa carnosa e succosa. Ogni frutto contiene un solo seme bruno-lucente, punteggiato molto minutamente a forma obvoide o più semplicemente rotonda. Il pericarpo (parte esterna del frutto) è aderente. Dimensione del seme: 1,5 – 2 mm.

Distribuzione e habitat

Geoelemento: il tipo corologico (area di origine) è Circumboreale. Viene considerata una specie nativa delle montagne europee.
Diffusione: questa pianta è diffusa comunemente su tutto il territorio italiano, come pure in tutta Europa. È comune anche in altre parti del mondo dalla Siberia all’America del nord.
Habitat: sulle Alpi e sugli Appennini si trova fra il bosco a castagno e il limite delle conifere presso le malghe, luoghi incolti o ruderali ma concimati (eventualmente da bestiame al pascolo). Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo con pH neutro, alti valori nutrizionali e con terreno secco.
Diffusione altitudinale: sui rilievi queste piante si possono trovare dai 500 fino a 2100 m s.l.m.; frequentano quindi i seguenti piani vegetazionali: montano e subalpino.

Usi

(Avvertenza: le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico).

Farmacia
Sostanze presenti: le piante di farinello buon-enrico sono dotate di un olio essenziale chiamato ”essenza di chenopodio”, contengono inoltre betalaine e altre sostanze come ferro e vitamina B1. Contengono inoltre saponine e acido ossalico. Le quantità di queste sostanze nella pianta sono esigue, ma un consumo esagerato delle foglie in certi individui può creare dei problemi. Problemi che possono aumentare se le piante sono raccolte su terreni ricchi di azoto.
Proprietà curative: questa erba è emolliente, lassativa e vermifuga. Non deve essere assunta da persone affette da insufficienza renale o reumatismi, in quanto aggraverebbe tale condizione. Un cataplasma ottenuto con le foglie veniva usato per pulire e rimarginare ferite croniche, scottature e ascessi. I semi sono un blando lassativo, adatto per i bambini.
Parti usate: soprattutto le foglie; eventualmente il rizoma

Cucina
Il farinello buon-enrico è una pianta conosciuta sin dall’antichità (era largamente coltivata dagli inglesi fino al XVIII secolo) e apprezzata per il suo valore nutritivo, spesso raccolta e lessata e consumata in varie forme nell’Italia centrale.
Anticamente considerato un alimento povero, è oggi una spezia molto ricercata e pertanto è spesso oggetto di raccolte indiscriminate. Si cucina come una comune verdura, lessa o soffritta in padella. Si preferiscono i germogli o le cime immature delle giovani piante.

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