Filip Babicz e Heike Schmitt “rispolverano” una dura via di misto sull’Aiguilles Marbrées
Un bellissimo percorso caduto nell'oblio (260 metri, 9 lunghezze di corda) con ottima roccia, difficoltà continue e sostenute e breve avvicinamento. Hanno trovato vecchi chiodi sulla via e l'hanno dedicata ai due pionieri "Ghiglione-Ottoz"
Il 20 marzo, Filip Babicz e Heike Schmitt si sono diretti in un remoto punto delle Alpi, sul bordo nord-ovest della Pointe Alphonse Payet (3.506 m), nelle Aiguilles Marbrées. Lì, sono stati affascinati da un bellissimo percorso, che li ha sorpresi non solo per la qualità della difficile arrampicata, ma anche per il fatto di trovare segni in vari punti che qualcuno era passato lì prima.
In quei momenti, l’italo-polacco e il tedesco non sapevano chi aveva scalato quell’esigente percorso di arrampicata mista, con difficoltà massime che hanno stimato intorno all’M7+. Poi hanno scoperto che anche Piero Ghiglione e Arthur Ottoz avevano scalato l’una o l’altra parte di quel versante nel 1956, attraverso una linea dimenticata e sconosciuta. Babicz e Schmitt hanno trovato vecchi chiodi che potevano facilmente tirare fuori con le mani e hanno deciso di rendere omaggio a quei pionieri e dedicare loro questa scalata quasi 70 anni dopo.
La via – che hanno battezzato Ghiglione-Ottoz – ha un percorso di 260 metri, che hanno superato attraverso nove lunghezze di corda.
Punti a favore della via: la qualità della roccia, la breve via di avvicinamento, ovvero la sua vicinanza al rifugio Torino, da cui sono necessari solo quindici minuti di cammino e le difficoltà continue e sostenute (L1 M6, L2 M5, L3 M7+, L4 M7+, L5 M5+, L6 M4, L7 M7, L8 M6+ e M9 M5).
Babicz Non si tratta di una via nuova, in vari punti abbiamo trovato i segni dei passaggi precedenti, ma è un percorso sconosciuto, caduto nell’obblio. Non sappiamo nemmeno chi è stato il primo a percorrerla o quale fosse la linea esatta seguita dai nostri predecessori. Quello che sappiamo è che il 4 agosto 1956 la cordata Ghiglione – Ottoz ha salito più meno la stessa sezione della parete lasciando alcuni chiodi in loco. Noi i vecchi chiodi li abbiamo trovati, alcuni estratti fuori con una mano. Ecco la ragione per la quale abbiamo deciso di dedicare la linea da noi salita e preparata a questi due pionieri.
La via segue una linea logica ed estetica su una roccia per lo più molto compatta, ulteriormente ripulita dai massi instabili. Le soste sono tutte a spit inox, invece sui tiri abbiamo lasciato 8 chiodi di buono stato.