Ragni, Luca Schiera racconta la nuova via aperta in Pakistan

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Io, Simone Pedeferri e Federica Mingolla siamo per partiti per il Pakistan il 29 giugno. La nostra idea era di andare nella Kondus valley, situata nel gruppo del Saltoro, al confine con l’India. Per questo motivo la zona era chiusa a qualsiasi straniero fino a quest’anno, gli unici ad averla visitata erano stati un gruppo di americani e, nel 2001, la spedizione italiana di cui faceva parte anche il Ragno Natale Villa, ma nessuno ci aveva ancora arrampicato.

Abbiamo ottenuto il permesso dopo qualche mese di attesa e quindi abbiamo potuto iniziare a organizzarci.

A Islamabad abbiamo incontrato il nostro ufficiale di collegamento, anche se all’inizio non eravamo entusiasti della sua presenza, in seguito si è rivelato cruciale per superare vari problemi lungo la strada, poi siamo partiti in aereo per Skardu. In un giorno di jeep abbiamo raggiunto Kondus e ci siamo stabiliti nella Sherpi valley. L’entusiasmo nel vedere le pareti era molto alto. Dopo avere dormito ci siamo incamminati lungo il ghiacciaio per studiare le molte possibilità di arrampicata nel posto e siamo tornati indietro soddisfatti con una buona lista di possibili vie da aprire, avremmo solo dovuto scegliere da dove iniziare.

Dopo qualche pioggia abbiamo iniziato una via su una parete poco distante dal campo base. Sarebbe dovuta essere un riscaldamento in attesa di qualcosa di più serio ma subito abbiamo trovato difficoltà impreviste. La roccia era sporca e sabbiosa e quindi l’arrampicata complicata. A un terzo di parete, dopo 400m saliti ci siamo resi conto che non avevamo alcuna possibilità di riuscita e siamo scesi.

Dopo questo tentativo ci siamo resi conto che anche le altre pareti che avevamo studiato hanno lo stesso tipo di roccia: sabbiosa e con varie zone erbose che chiudono le fessure, nonostante siano tutte fra i 4000 e 5000m di quota. Decidiamo di andare a colpo sicuro scegliendo una parete più piccola ma con delle sottili fessure verticali o strapiombanti. Risultato ancora peggiore: la roccia è molto sporca ed è al limite dello scalabile, nel frattempo dopo 5 tiri saliti arriva improvvisamente un temporale con delle raffiche di vento mai viste al di fuori della Patagonia, dura mezz’ora ma basta a farci buttare le doppie.

Tornati alla base facciamo il punto della situazione: abbiamo passato una settimana nella Kondus, ci rimangono meno di dieci giorni e non abbiamo grandi alterative per arrampicare, ci sarebbero due pareti che sembrano migliori ma arrivano a 6000m di quota e avremmo bisogno di più tempo , quindi le escludiamo subito.

Decidiamo di rischiare tutto e spostarci, io torno verso Skardu insieme all’ufficiale per vedere una valle che avevo visto in foto, Simone e Federica guardano la Lachit valley, parallela alla nostra.

Due giorni dopo ci ritroviamo di nuovo e decidiamo che non ha senso rimanere qua (le pareti a Kondus sono talmente belle che, anche sapendo già com’era la roccia, la seconda volta che torniamo nella valle e le vediamo rimaniamo stupiti come la prima). Credo di avere visto una parete interessante di granito rosso nella Kiris valley e spostiamo tutto lì il giorno successivo.

Anche in questo caso, incredibilmente, siamo i primi occidentali a vedere questo posto. La valle è molto verde e sembra il tipico paesaggio alpino. Attacchiamo subito la parete nel suo lato più alto: uno spigolo formato da tre grandi risalti verticali di 200m ciascuno.

Il primo giorno scaliamo fino a due tiri dalla prima grande cengia, fissiamo una corda statica e scendiamo.

Il secondo risaliamo fino al punto massimo del giorno prima e con un altro tiro arriviamo fino a pochi metri dalla cengia, dobbiamo superare solo un tetto. Due grossi blocchi tenuti fermi apparentemente da niente ci ostacolano la strada. Ci caliamo di un intero tiro e pendoliamo alla ricerca di un’altra soluzione, c’è una bella fessura verticale che sembra portare in cima 50m più in là.

Con un lungo tiro raggiungiamo la prima cengia, è già pomeriggio e continuiamo velocemente fino a salire anche tutto il secondo pilastro. Scendiamo per un sistema di cenge che porta fuori dalla parete e un’ora più tardi siamo di nuovo al campo base. Speriamo in un altro giorno di bel tempo per finire la via, il tempo a disposizione inizia a stringere.

Il giorno successivo fa caldissimo, (lo zero termico è sempre sopra i 6000m), e a piedi sotto il sole torniamo alla base del terzo pilastro, per fortuna girando lo spigolo in pochi minuti passiamo dal caldo al freddo. La parete è ancora ripida e dei ciuffi d’erba nelle fessure obbligano a qualche runot. Dopo altri cinque tiri, prima di sera sbuchiamo sulla cresta finale, il panorama è notevole. A poco meno di quota 5000m, la cima è un prato verde, per questo motivo chiamiamo la montagna Peak Nik.

Scendiamo a piedi da versante opposto e concludiamo così la nostra via. Siamo stati graziati da tre giorni di tempo perfetto, ma al quarto torna la pioggia.

Luca Schiera (da I Ragni di Lecco)

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