Riserve integrali tra conservazione e soluzioni condivise


Mount Live ha deciso di avviare una inchiesta partecipata sulle Riserve Integrali, zone off-limits che insistono in molti Parchi del territorio nazionale. Negli ultimi tempi tali Riserve hanno aperto un dibattito serrato tra i fruitori della montagna con posizioni divergenti in merito. Mount Live, quindi, darà voce e spazio a coloro che vorranno dire la loro. Inviate il vostro contributo all’indirizzo mail redazione@mountlive.com
Nel Parco nazionale della Majella, ad esempio, nelle zone A l’obiettivo prioritario è quello di garantire i massimi tassi di riproduzione e sopravvivenza delle specie animali di particolare interesse e le misure restrittive, oltre a limitazioni nel pascolo, riguardano la regolamentazione di accesso in alcuni siti.
Nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise la riserva integrale è un territorio che per le sue caratteristiche faunistiche, floristiche, geologiche merita conservazione assoluta. Vige così il divieto di alterazione dell’ambiente, l’accesso dei visitatori è consentito solo a piedi, lungo itinerari prefissati, preferibilmente con l’ausilio di Guardie o Guide del Parco. La Riserva Integrale della Camosciara si distingue anche per il suo aspetto e per la struttura dolomitica; è presente, infatti, la dolomia, un tipo di roccia che, essendo impermeabile, permette all’acqua di scorrere in superficie dando luogo a pittoresche cascate e pozze d’acqua. Questo Parco, il più antico in Abruzzo, è stato di fondamentale importanza per la conservazione di alcune specie, tra cui orso bruno marsicano, camoscio d’Abruzzo e lupo la cui presenza si segnala anche sulla vicina Majella, e i suoi boschi permettono la presenza di specie animali molto rare, come il picchio di Lilford.
Purtroppo distruggere è facile e tornare alla normalità di tempi lontani è un lungo cammino e non si può abbassare la guardia.
In particolare l’Orso Marsicano da solo varrebbe tutta la riserva e anche se è ancora una specie a rischio, alcuni esemplari si ritrovano anche nel Parco della Majella e sull’appennino abruzzese in genere.
L’Orso, al contrario di quanto si possa pensare data la sua stazza, è una specie il cui ciclo vitale e riproduttivo è delicato. La femmina dell’orso può avere gravidanze ogni circa 3 anni, dato che si occupa della prole dalla nascita per circa due anni. Il successo riproduttivo dipende anche da quanto la femmina, durante il periodo da maggio a novembre, riesce a mangiare per poter affrontare l’inverno. Infatti, nonostante l’accoppiamento avvenga in primavera, i piccoli nascono in gennaio poiché, come altri in altri mammiferi, l’uovo fecondato nei primissimi stadi di sviluppo va in una specie di letargo, “ la diapausa embrionale” dalla quale esce solo quando la madre ha accumulato sufficiente grasso per il letargo e l’allattamento. Anche per questo motivo gli orsi attraversano il periodo di iperfagia nel quale cercano di accumulare grasso il più possibile e per questo si spingono nei centri abitati provocando danni e paure. La riserva, ovviamente, serve anche a distogliere gli animali dai centri abitati e con l’aiuto delle popolazioni residenti e l’uso di recinti elettrici si cerca di venire incontro alle esigenze di tutti.
Arrivato l’inverno gli orsi si ritirano nelle tane. Generalmente le tane sono ricavate in piccole grotte naturali, a volte allargate ed adattate dall’orso, più raramente vengono direttamente scavate nel terreno. L’ingresso è spesso poco visibile e di dimensioni ridotte rispetto alla mole dell’animale. Durante lo svernamento il plantigrado cade in un profondo torpore, la temperatura corporea si abbassa, il metabolismo rallenta e l’animale consuma lentamente le scorte di grasso che ha accumulato nel corso dell’autunno. Il letargo non è però assoluto, a volte l’orso può uscire dalla tana per brevi periodi, nelle ore più calde della giornata. Se disturbato l’animale abbandona il ricovero ed è costretto a reperirne uno d’emergenza, dove però i piccoli non arrivano facilmente e l’orsa può arrivare ad abbondonarli a morte certa.
Ma molti altri animali sopravvivono ora grazie ai parchi: l’ultimo esemplare di camoscio nel massiccio della Majella fu abbattuto nell’Ottocento, analogamente a cervo e capriolo. L’orso, ridotto a pochi esemplari, è riuscito a sopravvivere in condizioni precarie nelle foreste più impenetrabili, così come la lontra. Solo il Lupo, soprattutto per l’abbondanza di greggi e la maggiore capacità di adattamento è sfuggito all’annientamento. Il Camoscio d’Abruzzo, è ora tornato signore incontrastato delle vette e praterie d’alta quota ed assieme all’altra fauna e la ricchissima vegetazione contribuisce a ricreare un ecosistema ideale per altre specie.
Sulla Majella, inoltre, il piano alpino occupa una superficie molto estesa ed occupata dalla mugheta, cioè boschi di Pino Mugo. Il Pino mugo è molto comune sulle Alpi centro- orientali e su gran parte dei massicci montuosi centro europei. Sull’Appennino è quasi assente e la Majella è l’unica eccezione: questa montagna ospita infatti delle pinete a pino mugo estese per centinaia di ettari, come era un tempo e cioè prima dei disboscamenti e diquando l’attività pastorizia aveva ridotto l’estensione della mugheta. Tutti i pendii utilizzabili per il pascolo vennero disboscati e la mugheta è sopravvissuta solo nei versanti più scoscesi e irraggiungibili. Il pino mugo è utilizzato nell’industria farmaceutica per l’estrazione del mugolio, principio attivo dalle spiccate proprietà balsamiche, nel giardinaggio come pianta ornamentale, ma soprattutto si è dimostrato utile per consolidare i pendii instabili e per trattenere gran parte della neve eliminando o riducendo notevolmente il rischio di valanghe.
Informarsi dunque è fondamentale per capire e anche per poter interloquire con i ricercatori e le dirigenze dei Parchi per confrontarsi e trovare soluzioni condivise.
Giusi Pitari
Appenninista/Docente Università degli Studi dell’Aquila
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