K2, le lezioni dei nepalesi: forza, orgoglio e spirito di squadra

Gloria e dolore nel giorno della prima invernale al K2, l’ultimo Gigante. Mentre 10 nepalesi, molti di loro sconosciuti o poco conosciuti ai più, firmavano questa grande impresa attesa da decenni, più giù si consumava una immane tragedia. Moriva Sergi Mingote. L’alpinista spagnolo, vice di Chaang Dawa Sherpa del team SST, cade e per lui non c’è stato nulla da fare. Un uomo speciale, lo si capisce anche dai tanti ricordi degli amici alpinisti, tutti lo ricordano come un uomo sempre con un progetto in tasca, sempre col pollice in su, sempre sorridente e altruista.

Più su, invece, la gloria. Una lezione impartita da chi per decenni ha lavorato a testa bassa per gli occidentali. Da chi non aveva salito una prima invernale. Sono i nepalesi. La maggior parte di loro sono lì come sherpa, devono attrezzare la via. Fanno parte di 3 spedizioni differenti. Ma una volta sulla montagna, salgono, lavorano insieme, si danno il turno; non hanno tempo per i social.
Purja, dopo giorni di brutto tempo, risale al C2 e trova tutto distrutto. Non si perde d’animo. Nessuno di loro si perde d’animo. Si rimettono a lavoro. Promettono di salire in vetta. Dicono che il sogno è stato rimandato solo di qualche giorno. E così è stato.

Salgono, salgono ancora sin sotto alla vetta. Si fermano a 10 metri dalla gloria. Devono aspettare gli altri. Ci sono alcuni di loro un po’ più giù. È tardi, sta tramontando all’orizzonte e il freddo di un Ottomila ti entra nel cervello. Ma loro restano interminabili minuti ad aspettare. La gloria doveva essere per tutti. Nessuno escluso. E così è stato.

Che bella lezione sulla montagna degli italiani, dove il 31 luglio del 1954 si scriveva un’altra pagina dell’alpinismo ma con tanti strascichi che non stiamo qui e ora a ricordare.

Ora per i nepalesi si apre una nuova era. Quella della consapevolezza! E sicuramente avranno tanto da dire sulle loro montagne.

Ora si apre una nuova era sui Giganti della Terra. Messa la parola fine alle invernali sugli Ottomila, si darà ancor più spazio a nuove forme, stili, etica. A nuove vie. Si andrà sempre più alla ricerca delle difficoltà tecniche.

E a nuove montagne, perché ce ne sono tante ancora non scalate.

Tornando al popolo sherpa, se l’è vista nera a causa del lockdown causato dalla pandemia Covid-19. Un popolo, una terra, che vive soprattutto di turismo. Oltre alle loro antiche attività, quali agricoltura e allevamento di bestiame.

Popolo mite: per gli sherpa non è importante avere una personalità eroica, bensì essere miti e prudenti; non conta avere grandi ricchezze, bensì essere disposti a dividerle con chi ha bisogno di aiuto o a dimostrare la propria generosità ed ospitalità.

Poi l’avvento del turismo d’alta quota. Hanno polmoni particolarmente voluminosi, assenza di iperventilazione, ed un’alta concentrazione di emoglobina. Tutte caratteristiche che permettono di vivere più facilmente sopra i 3.000 metri di quota.

Loro, schiena curva e solitamente corpo minuto, si sono sobbarcati km e km di montagne, ghiacciai, coi loro clienti internazionali. Hanno esperienze, hanno realizzato imprese. Basti pensare a quel 29 maggio 1953, quando insieme al neozelandese Edmund Hillary in vetta all’Everest c’era proprio uno sherpa, Tenzing Norgay.

Quest’anno hanno cercato di proporsi al proprio Governo per non starsene con le mani in mano e racimolare qualcosa per tirare avanti. La loro idea era quella di ripulire l’Everest (e non solo) dai rifiuti. Niente da fare. Proposta bocciata.

Come dimenticare, poi, il terremoto del 25 aprile 2015 (magnitudo 7,8) che causò più di 8.000 morti. Danni materiali. Economia in ginocchio.

L’orgoglio di un popolo. La montagna spesso e volentieri è stata terreno di dimostrazione di valori, di riscatto. Ecco, questa è la cosa più bella di questa salita al K2!

Il Direttore

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