“Segni verdi e segni di pietra”, incamminiamoci nel racconto di Isabella Corti

Primo capitolo di “Segni verdi e segni di Pietra – Lungo i sentieri alla riscoperta dell’alleanza tra natura e uomo”: in questa prima parte Isabella Corti ci conduce nella foresta in un viaggio onirico, tattile e olfattivo accarezzando una fogliolina di faggio appena nata o coprendo con una coperta intrecciata di terra, foglie e corteccia le radici nude e spezzate del grosso castagno che non ha retto al tempo e all’inverno

 

di Isabella Corti

 

Una mattina camminavo nei boschi freschi, in queste belle giornate di primavera, quando il giorno incomincia con una luce chiara e limpida, nell’aria solo il profumo dolce ma intenso dei fiori selvatici; l’umidità della notte al mattino rende i colori del bosco molto intensi e brillanti, e pare che questa vitalità entri nelle fibre del corpo dando quella sensazione di energia purissima.

I colori intorno a me colpiscono sempre la mia immaginazione, duettando con l’odore del legno, della resina, della terra e delle foglie nuove, così verdi d’un verde tenero che quasi sembra irreale; avete mai provato ad accarezzare una fogliolina di faggio o di farnia appena nata? Col timore quasi di rovinarle al primo momento, si avverte insieme delicatezza e forza, la pelle delle nostre dita sono sensori eccezionali, una fogliolina turgida, lucida e tesa nel suo processo di nascita quanta meraviglia rimanda alla nostra sensibilità?

 

castagno

 

Ad un tratto lungo il sentiero che porta al torrente avvertivo un odore intenso, a tratti sgradevole, come di erba cipollina al grado massimo di intensità. Seguendo il corso dell’acqua come un segugio che intercetta la pista, mi perdo nella curiosità di scoprire da dove proveniva quel sentore cipolloso, era la prima volta in fondo che lo avvertivo in modo così prepotente. L’inverno aveva lasciato nel bosco tutta la sua eredità sofferta, lo potevo avvertire dalla quantità di alberi schiantati a terra, dai rami spezzati, dalle foglie a terra in molle dissoluzione, dai miei passi silenziosi che lasciavano un’orma appena lieve sulla terra nera umida.

Arrivata al ponticello di pietra il fragore dell’acqua mischiava nell’aria il profumo della menta selvatica con quella delle felci con i loro riccioli lanciati come tentacoli al cielo coperto di fronde. Un vecchio castagno giaceva al suolo, sradicato dal suo piedistallo come se non avesse peso, lui così immensamente grande, imponente, eppure si era lasciato cadere; forse una malattia aveva fiaccato la sua fibra nodosa, rendendolo indifeso in un inverno mite ma carico di neve tardiva, pesante e bagnata. Mi avvicinavo al suo tronco steso, tutta la corona di radici nude, alcune ancora tenacemente attaccate alla zolla e tra me e me pensavo che in fondo questi saggi quando si accasciano lasciano una inquietudine in chi gli passa accanto, e in un guizzo di pensiero forse ancora un po’ infantile penso che vorrei coprirle quelle radici nude spezzate, vorrei aver portato con me nello zaino una coperta intrecciata di terra, foglie e corteccia per il grande castagno.

 

>>> Continua tra una settimana

 

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