I pezzi da novanta
Andiamo avanti. Altro punto a nostro favore: in Italia abbiamo un altro pezzo da novanta, il Re delle invernali. E qui di che si sta parlando? Proprio di invernali. Simone Moro proprio in questi giorni ha riaperto ad un eventuale tentativo al K2, dopo che lo aveva accantonato a causa del (preoccupante) sogno della moglie. Moro, 4 invernali all’attivo, mettererebbe il sigillo, la ciliegina sulla torta, alla sua carriera.
Lo so, lo so, tra i due negli ultimi tempi ci sono stati dissapori e poi è un cavallo impazzito; ma è uno dei migliori in circolazione al momento (e un angelo custode se le cose dovessere mettersi male per qualcuno del team). Parliamo di Denis Urubko. Russo, naturalizzato polacco, vive in Italia da tempo. Nella bergamasca. Ha due prime invernali all’attivo, proprio con Simone Moro. Il suo nome parla per lui…
Gli altri
Poi per il resto del team di alpinisti non abbiamo sorta di problemi. Abbiamo tanti cavalli di razza. Ne annoveriamo qualcuno, ma la lista potrebbe allargarsi ad altri.
Vediamo un po’: che di dite di un Hervé Barmasse? Marco Confortola? E Francois Cazzanelli e Francesco Ratti? Possiamo aggiungerci Marco Camandona, Danilo Callegari.
C’è tutta una generazione di giovani che hanno già fatto tanto, stanno facendo e vogliono fare ancora tanto.
C’è Simon Messner, il figlio di Reinhold, che ha già una bella esperienza sui Seimila.
C’è Tamara Lunger. Ha avuto sinora un buon maestro, ha sfiorato per poco la prima invernale al Nanga Parbat.
E Simon Gietl? Nominato alpinista italiano del 2016, ha l’arrampicata nel sangue. Reduce da poco dalla prima solitaria invernale delle Tre Cime di Lavaredo. Insomma, uno tosto. E ha nella propria valigia anche Seimila pakistani e Cinquemila peruviani.
C’è poi Carlalberto (Cala) Cimenti. Beh, pure qua si va sul sicuro: diversi Ottomila, l’Ama Dablam, discese estreme con gli sci, il primo italiano nel 2015 a ricevere lo Snow Leopard (riconoscimento che la Federazione alpinistica russa concede a chi scala le 5 montagne oltre i 7.000 metri sul territorio dell’ex Unione Sovietica).
Poi possiamo aprire un altro cassetto delle meraviglie. Dentro tanti bei nomi, tutti facenti parte della stessa famiglia. I Ragni di Lecco.
Insomma, potremmo continuare con i nomi. Da questa breve disamina, pare non mancare nulla ad una potenziale e fantasiosa spedizione italiana al K2.
Su Cai, sponsor vari, Stato, crowfounding, società, associazioni, fondazioni, privati… qualcuno ci faccia un pensierino, ma bisogna darsi una mossa, i polacchi (e non solo loro) sono dietro l’angolo.
D’altronde, ma davvero, cosa manca a noi italiani per questa straordinaria impresa? Che ne dite?
Il Direttore