Anatolij Bukreev, il gigante dell’alpinismo

Anatolij Bukreev è stato uno dei più forti alpinisti di sempre. La sua storia invischiata con la tragedia dell'Everest del 1996. Morì sull'Annapurna

L’alpinista kazako Anatolij Nikolaevič Bukreev (Анато́лий Никола́евич Букре́ев) è nato a Korkino il 16 gennaio 1958  ed è morto sull’Annapurna il 25 dicembre 1997.

Bukreev era un caterpillar, un alpinista da una forza e volontà e coraggio e tenacia incredibili. Forse nessuno come lui. Le sue imprese sono memorabili e viene ricordato perché invischiato nella querelle, nata dalla penna di Krakauer (in Aria Sottile) sulla tragedia del 1996 sull’Everest.

Bukreev termina le scuole nel 1975 e studia presso l’università di Čeljabinsk, ottenendo la laurea in fisica nel 1979. Successivamente si trasferisce ad Alma-Ata, nella Repubblica Socialista Sovietica Kazaka. Qui inizia un’intensa attività alpinistica.

L’attività alpinistica

Raggiunge il suo primo traguardo notevole nel 1987 con la prima salita solitaria al Picco Ibn Sina (allora Picco Lenin) di 7.137 m. Compie un’altra impresa degna di nota nel 1989 con l’apertura di una nuova via sul Kangchenjunga (8.556 m) con una spedizione sovietica, e pochi giorni dopo completa la prima traversata integrale delle quattro cime di quella montagna sopra gli 8.000 metri.

Nel 1990 ripete la via Cassin al Monte Denali (allora Monte McKinley). Nel 1991 col crollo dell’Unione Sovietica ottiene la cittadinanza kazaka. Nel 1992 scala due vette sopra gli 8000: in maggio il Dhaulagiri per una nuova via sulla parete est con la prima spedizione himalayana kazaka, mentre in ottobre l’Everest del colle Sud. L’anno successivo è invece la volta del K2, salito per lo Sperone degli Abruzzi. Nel 1994 sale il Makalu (8476 m) e il Makalu II (8 460 m).

Nel 1995 torna per la seconda volta all’Everest, che sale dal versante nord, e al Dhaulagiri, dove stabilisce un record di velocità di ascesa, con 17 ore e 15 minuti. Con la seconda spedizione kazaka in Himalaya raggiunge la vetta del Manaslu (8156 m). La sua attività alpinistica lo rende molto noto in patria, tanto che viene preso come guida alpina dal presidente kazako per l’ascensione al Picco Abai.

Il caso Everest 1996

Nel 1996 viene assunto come guida dall’associazione Mountain Madness e partecipa alla spedizione commerciale all’Everest guidata da Scott Fischer nel mese di maggio. Nel condurre i clienti rinuncia all’utilizzo dell’ossigeno, spiegando in seguito di aver scelto ciò in ragione della sua esperienza himalayana, dalla quale aveva capito che, una volta acclimatato alle alte quote, l’ossigeno gli avrebbe causato la perdita dell’acclimatamento, rendendolo meno efficiente. Dispone quindi le corde fisse per consentire il passaggio dei clienti lungo buona parte del percorso e giunge in vetta fra i primi. Bukreev si ferma in cima per circa un’ora e mezza (dalle 13:07 alle 14:30), aiutando diversi alpinisti, e giunge al campo IV verso le 17.

Dopo la salita in vetta le tre spedizioni presenti sulla montagna (oltre a quella di Mountain Madness salivano quel giorno una spedizione commerciale dell’Adventure Consultants, guidata da Rob Hall, e una spedizione taiwanese) furono sorprese da una tormenta, nella quale morirono 8 alpinisti, compresi i due capospedizione e una guida. Bukreev, già rientrato all’ultimo campo, uscì da solo nella tormenta e riuscì a trovare e condurre in salvo tre alpinisti dispersi nei pressi del colle sud.

 

In seguito Bukreev venne accusato da uno degli alpinisti, il giornalista Jon Krakauer, di non aver svolto il suo ruolo di guida.

 

Tale accusa era motivata dalla decisione di scendere prima dei clienti, dovuta a detta di Krakauer alla scelta, a suo giudizio inopportuna, di salire senza ossigeno, che lo avrebbe costretto a muoversi più velocemente rispetto alle altre guide, che invece grazie alle bombole potevano rimanere più a lungo in alta quota. Bukreev rispose che la sua decisione di scendere era invece dovuta all’intenzione di aiutare i clienti. Sapeva infatti che le riserve di ossigeno degli altri alpinisti erano scarse, e quindi si proponeva di scendere al campo IV per poi andare incontro ai clienti che scendevano con nuove bombole e bevande calde.

 

La vicenda è nota ed è andata avanti per anni e riproposta in questi ultii tempi con il nuovo film Everest di Baltasar Kormakur.

 

Krakauer espose la sua opinione riguardo a quei fatti nel suo famoso articolo intitolato Into thin air, pubblicato nell’edizione di luglio 1996 della rivista Outside, al tempo la maggiore rivista statunitense sul mondo degli sport estremi e dell’avventura, la stessa rivista che gli pagò la scalata.

Bukreev rispose subito all’articolo di Krakauer contattando il direttore della rivista Outside, e inviando una lettera in cui meglio circostanziava fatti e motivazioni del suo comportamento. Ma in risposta ottenne che avrebbero potuto pubblicare solo uno scritto ridotto a poche centinaia di parole. Bukreev rifiutò, e – quando l’anno successivo uscì il libro di Krakauer sui fatti (con lo stesso titolo dell’articolo), in cui il giornalista-alpinista confermò in toto la sua opinione dei fatti – Bukreev si sentì motivato a difendere la sua figura di alpinista e di uomo, e scrisse a quattro mani con lo scrittore Gary Weston DeWalt il testo Everest 1996 – Cronaca di un salvataggio impossibile, in cui vengono ricostruite le varie tappe della vicenda ed esposte estesamente le ragioni e le situazioni che suggerirono a Bukreev di operare nel modo da lui scelto, ma sempre con l’approvazione del capo-spedizione Scott Fischer.

Altri Ottomila

Nel 1996 Bukreev salì altri tre ottomila, il Lhotse (in solitaria, stabilendo un record di velocità), il Cho Oyu (insieme alla terza spedizione kazaka), e lo Shishapangma. L’anno successivo tornò all’Everest e al Lhotse, e successivamente salì il Broad Peak (8047 m) e il Gasherbrum II (8 035 m).

Annapurna 1997

Nel dicembre del 1997 Bukreev tentò l’ascesa dell’Annapurna (8091 m) insieme a Dimitri Sobolev e all’alpinista italiano Simone Moro per una nuova via, estremamente difficile date le condizioni invernali. Il 25 dicembre, durante le prime fasi della spedizione, intorno ai 5.700 metri di quota, gli alpinisti furono travolti da una valanga. Moro, che si trovava più in alto e aveva già attraversato la zona più pericolosa, fu trascinato 800 metri più in basso e, non trovando più i compagni, rientrò da solo al campo base, dal quale fu trasportato in elicottero in ospedale per curare le sue profonde ferite alle mani.

Fu preparata una spedizione di ricerca per Bukreev e Sobolev, nella speranza che anch’essi fossero usciti dalla valanga e che avessero raggiunto il campo I, a circa 5 200 metri. La spedizione di ricerca arrivò sul luogo il 3 gennaio, dieci giorni dopo l’incidente a causa del maltempo, ma non trovò traccia dei due alpinisti. Le ricerche furono quindi interrotte.

Al campo base dell’Annapurna è stato costruito un chörten in memoria di Bukreev.

Onorificenze

Nel 1997 venne insignito del “David A. Sowles Award”, premio istituito nel 1981 dall’American Alpine Club.

 

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