Angelo Monti: “Roberto, forse accade così… con voci di terra lontana”

Il 21 luglio 2016 il Gran Sasso fu scosso dalla tremenda notizia della morte di Roberto Iannilli e Luca D’Andrea. Precipitarono lungo la parete nord del Camicia. Erano amici. Erano amici di cordata. E legati li hanno trovati, esanimi. Entrambi grandi alpinisti, sul Gran Sasso hanno aperto tantissime vie che per l’eterno parleranno di loro. Iannilli era conosciuto a livello internazionale, era stato tra i finalisti del Piolets d’Or, aveva esperienze sulle pareti in giro per il mondo: Cordillera Blanca in Perù, Himalaya, El Capitan.

Pubblichiamo il ricordo vivo del suo amico, alpinista-climber romano, Angelo Monti

angelo monti
Angelo Monti

Stefano, Antonio, Gianluigi, Gino, Jazmin, Paolo, Romolo, Franco, Pino, Luca e Roberto, sono tanti gli amici caduti sul Gran Sasso, e ancora di più quelli che non ho conosciuto ai quali le rocce e le nevi del Gran Sasso sono state lo stesso fatali.
Tanto dolore, tanto vuoto dentro, incolmabile, come quel vuoto tutt’intorno che irresistibilmente attrae ogni alpinista. Roberto e Luca, loro si nutrivano di quel vuoto, più di chiunque altro.
Roberto Iannilli era il mio presidente, e amava ricordarmelo, ammonendomi scherzosamente ogni qual volta che mi dimenticavo di postare sulla pagina fb della nostra associazione le foto delle mie escursioni e delle mie arrampicate.
A volte appariva un po’ duro, ma dentro Roberto era un buono, un indole generosa, un amico sensibile, affidabile, stimato e ben voluto da tutti.
Paradossalmente non ricordo se abbiamo mai arrampicato insieme, ma da quando un anno e mezzo fa ho cominciato a far parte del consiglio dell’associazione Alpinisti del Gran Sasso, proprio per volontà sua, ho avuto modo di parlare con lui e con Patrizia sua moglie, per ore e ore durante i viaggi in auto per svolgere le attività dell’associazione. 
Naturalmente l’argomento preferito riguardava le nostre numerose scalate al Gran Sasso. Per Roberto probabilmente erano più le prime salite, circa un centinaio, che le ripetizioni. Non mancavano le riflessioni sui pericoli e sulle grandi tensioni generate dall’alpinismo di punta, i lati oscuri di uno sport luminoso, l’ombra della montagna. Riflessioni che alla fine lasciavano il tempo che trovavano, non si può spiegare il perché di una passione, si può soltanto viverla.
Dieci giorni prima della tragedia, ci eravamo recati insieme a l’Aquila per una riunione del Consiglio. Mi era venuto a prendere sotto casa, subito dopo era salito con noi Gianni Battimelli anche lui socio consigliere.
Strada facendo, avevamo cominciato col parlare delle sue due ultime vie ripetute pochi giorni prima al Pizzo d’Intermesoli, “la Torre Nascosta” e “l’Amighetti”, vie che avevo anch’io ripetuto più di trent’anni fa. Ma per Roberto, nonostante i suoi sessantadue anni, erano le grandi pareti il chiodo fisso, e seppure io ormai da anni avevo messo da parte certi propositi, non potei fare a meno di convenire con lui che l’essenza dell’alpinismo andava ricercata nelle vie lunghe, nelle grandi difficoltà, quelle che mettono a dura prova lo spirito di adattamento, quelle che permettono di esplorare i propri limiti.
Per questo motivo la parete nord del Monte Camicia al Gran Sasso, un balzo verticale di oltre 1400 metri, soprannominato “l’Eiger dell’Appennino”, era stabilmente nei suoi pensieri. Nel 1998 con Ezio Bartolomei avevano salito nella parte superiore della parete, un diedro vertiginoso che avevano chiamato “Nirvana”, una via di grande ambiente e grande impegno di oltre seicento metri di sviluppo. L’anno successivo si erano superati aprendo direttamente dal basso, “Vacanze Romane”, un percorso di 43 tiri di estrema difficolta, composto da alcune lunghezze di corda al cardiopalmo che lo stesso Roberto definì “di non roccia“!  Ora l’intenzione era quella di salire sempre dal basso in un settore della parete mai esplorato, lungo un gigantesco pilastro, dove esisteva un tentativo di Pierluigi Bini risalente alla seconda metà degli anni ’90. In realtà i tentativi furono diversi e ad uno partecipai anch’io, furono saliti circa 200 metri, ne rimanevano più di mille.

roberto iannilli

Roberto Iannilli

Su questo terreno e ambiente di difficile accesso, su rocce troppo spesso infide e friabili, sospesi su abissi senza fine, dove profondo è il senso di lontananza dalla civiltà, Roberto e Luca hanno coltivato il loro ultimo sogno.
È stato così che qualche giorno fa, sospinti dal vento forte della loro passione hanno cominciato ad addentrarsi in quel mondo perduto, fatto di colossali e scure pareti, di forre buie e misteriose, sedotti dal fascino grandioso dell’orrido. Raggiunti i propri limiti, hanno infine varcato le soglie dell’imponderabile e proseguito oltre, verso i piani più alti dell’avventura, sondando l’anima dell’alpinismo, inseguendo quel sogno infinito di libertà che un destino crudele ha improvvisamente infranto. 
Ma come il sonno allontana la stanchezza e i dolori dal corpo provato dalla fatica, voglio immaginare che allo stesso modo la morte libera l’anima da tutti gli affanni terreni, e che essi ora spazino su montagne di luce senza più nessuna ombra, senza più limiti, liberi per sempre da ogni tensione. Sarebbe bello poterlo dire con le parole del titolo dello splendido libro scritto da Roberto, “forse accade così”.
“Voci di terra lontana” è invece il nome di una delle più belle vie aperte al Gran Sasso da Roberto, queste voci sono ora la sua e quella di Luca, che da un paese oltre tutti i sogni, giungeranno sempre nei cuori di chi dimenticarli mai potrà.

Angelo Monti

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