L’arrampicata? Come una partita a scacchi tra arrampicatore e roccia


Pian piano il terreno da cui si è partiti si fa sempre più distante, soltanto il respiro ed il battito del cuore accompagnano le sequenze di movimenti. Il compagno, alla base, manovra la corda, vero e proprio cordone ombelicale, seguendo attentamente ogni spostamento del primo di cordata. Tutto attorno cornici naturali di notevole bellezza, contribuiscono a rendere ogni salita un vero e proprio viaggio nell’anima. Arrivare in alto, avere la possibilità di guardare davvero il mondo da un’ottica inusuale, la soddisfazione per esserci riusciti, sono le ricompense di cui intimamente gioire. Un viaggio, quindi, che tutti possono intraprendere, a dispetto dell’immaginario collettivo che annovera l’arrampicata sportiva (o “free-climbing” nella traduzione anglosassone) tra le attività “estreme”. Niente di tutto ciò. Questa disciplina nasce come costola dell’alpinismo classico e se ne differenzia perché ha, come fine, non il raggiungimento di una cima bensì il superamento di itinerari su roccia (“vie”) e su strutture artificiali, solo attraverso l’uso del corpo. Le dita delle mani divengono allora estroflessioni della mente, i piedi, aiutati da calzature specifiche, si trasformano in arti prensili a cui affidare gran parte del sostegno del corpo.
Le falesie, o strutture rocciose di fondovalle, costituiscono il terreno di gioco e sono spesso inserite in contesti ambientali decisamente suggestivi. Il gesto sportivo trova quindi spazio ed espressione lontano dai consueti impianti in cui si è avvezzi trascorre il tempo libero; tale sinergia tra movimento e ambiente racchiude un contenuto emozionale difficilmente eguagliabile da altre attività.
Nel prossimo articolo entrerò nel vivo, scrivendo di come avvicinarsi a questa attività, dei materiali e della materia prima, cioè delle pareti e muri indoor.
Riccardo Quaranta
r.quaranta@mountlive.com