Juan Carrito e le lacrime di coccodrillo

Juan Carrito se n’è andato. È morto, forse, della peggior morte per un animale selvatico: contro un’auto e un guard-rail! Sanguinante. Agonizzante.
Il suo destino era in un certo verso segnato, troppo confidente – così si dice – in un territorio che ha lasciato la wilderness per il business. Probabilmente tra un po’ sarebbe stato nuovamente rinchiuso in un recinto perché la sua voglia di avvicinarsi ai centri urbani, alle persone, era più forte di lui.
Era diventato famoso per le sue scorribande. Ce l’aveva nel sangue, questione di dna.
Anche noi organi di informazione abbiamo colpe. Anche se, permettetecelo, noi di Mount Live, ad un certo punto, su Juan Carrito abbiam fatto calare il silenzio. Niente più news di giochini col cane, incursioni in pasticcerie e ristorantini; ne abbiam parlato solo in occasione della cattura e del successivo rilascio. Abbiam fatto solo cronaca.
Le colpe sono tante se Juan Carrito ci ha lasciati a soli 4 anni. Lo abbiamo conosciuto con la mamma Amarena e i tre fratellini mentre mangiucchivano da un albero da frutta e venivano ripresi e fotografati dai curiosi. Eh già, i curiosi. Tutti costoro dovrebbero fare mea culpa e non versare ora lacrime di coccodrillo. A rincorrerlo per un selfie, a lasciargli da mangiucchiare nei centri abitati nella speranza di poterlo incontrare e fotografare. Era diventata un’attrattiva. Sì, so di gente che si è macinata km e km nella speranza di incontrare Juan Carrito.
No, amici cari. L’orso deve procurarsi da mangiare da solo. Niente semplici cassonetti (!), niente cibo per strada, così lo si è invogliato al facile, ad addentrarsi per i vicoli e le piazze dei paesi in un territorio già troppo antropizzato con alberghi e ristorantini, alberghi diffusi, stazzi a mo’ di rifugio turistico, motociclette che sfrecciano a tutto gas il cui rombo si sente sin sulle croci di vetta delle montagne circostanti (e poi, invece, si sanzionano silenziosi e attenti scialpinisti ed alpinisti che escono dai sentieri ufficiali).
L’orso, ma non solo l’orso, va lasciato in pace. Soprattutto se si è capito che la nostra curiosità equivale ad accrescere i suoi problemi. Ricordiamoci che ce ne sono pochi di Marsicani!

Il Pnalm metteva in guardia già nel 2020. La mamma di Juan Carrito, Amarena, con i 4 cuccioli, scendeva nei centri abitati. Scorpacciate su alberi da frutta, raid nei pollai. La gente incominciò ad incuriosirsi, i video giravano su web e social. Tanto che un sindaco dovette emanare una ordinanza che vietava l’avvicinarsi all’orsa e ai suoi orsetti.

Pnalm Il futuro di Mamma Amarena e dei suoi 4 cuccioli dipende da noi! Parchi, istituzioni, associazioni, comunità locali e turisti sono tutti chiamati a prestare la massima attenzione e ad agire con il massimo della responsabilità.
Dobbiamo riflettere e ponderare ogni nostro piccolo passo. Il potenziale delle nostre azioni è inimmaginabile: possiamo davvero fare la differenza, in negativo, come in positivo.
Capiamo che la maggior parte delle persone è mossa da curiosità e da buone intenzioni, ma è davvero facile cadere in errore e diventare motivo di disturbo e di pericolo per l’orsa… Con questo video non vogliamo assolutamente stigmatizzare e demonizzare il comportamento delle persone coinvolte, vorremmo solo che tutti si soffermassero a riflettere per un momento, prima di correre a usare il telefono…
Abbiamo la possibilità di fare la differenza, il futuro dell’orso è OGGI…
Prima di agire, pensiamo alle possibili conseguenze delle nostre azioni.
Insieme, per l’orso!

La colpa è anche di chi ha gestito la faccenda? I Parchi interessati, le amministrazioni comunali, gli altri enti coinvolti? Mah.
Poteva essere fatto di più? Boh.
Si doveva intervenire diversamente? Chissà.

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Ciao Juan Carrito. Eri un simpaticone, e te ne sei andato troppo presto. Non sei il primo, purtroppo. Ricordate? Nel 2018, sempre per la mano dell’uomo (in zona di protezione esterna Pnalm) tre orsi, una madre e due cuccioli, morirono annegati in una vasca di cemento per la raccolta dell’acqua piovana priva di recinzione. Stessa vasca dove vi fu un’altra tragedia nel 2010: morirono altri due plantigradi. Ora la vasca – finalmente – è stata messa in sicurezza. E poi sempre le strade a fare altre vittime. Anche negli ultimi anni. La Statale 17, l’autostrada.

Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, WWF Italia e Salviamo l’Orso, si sono recentemente impegnati, con un investimento economico importante, per la realizzazione di una recinzione lungo il tratto di SS17 ritenuto maggiormente pericoloso per la fauna selvatica. L’intervento ha visto il montaggio di una recinzione metallica fissa su entrambi i lati della carreggiata in un tratto di 600 mt (dal km 146,6 al km 147,2). La recinzione ha anche l’obiettivo di “indirizzare” gli animali verso un sottopasso adiacente, mitigando in questo modo il rischio di incidenti e aumentando la sicurezza di orsi e automobilisti. Ma evidentemente questo non è stato sufficiente.

E non parliamo solo di Pnalm o di Abruzzo, ma in buona parte dell’Appennino, le strade attraversano aree naturali ricche di biodiversità. E ciò, come ricorda anche il WWF, dovrebbe obbligarci a investire nella sua salvaguardia. Dissuasori, ponti verdi e tutti gli altri accorgimenti necessari che in altri Paesi europei sono realtà da tempo.

WWF Troppo spesso invece mancano politiche (locali, regionali e nazionali) che prevedano azioni concrete per mitigare il nostro impatto sulla preziosa e unica biodiversità che ci circonda.

Non è sufficiente perché le statistiche dicono che ogni anno in media due orsi bruni marsicani muoiono per cause umane, accidentali o illegali. Juan Carrito è solo l’ultimo triste caso che ci fa rattristare e urlare per impegni più concreti al fine di conservare l’orso più raro d’Europa. Da parte di tutti gli attori in gioco.

Ma oggi assistiamo a lacrime di coccodrillo da più parti. Non solo i tanti curiosi che oggi lo piangono ma che lo hanno spinto ad essere ciò che era.

Riporto ancora le parole del WWf:

Suonano ora un po’ false le dichiarazioni di quei rappresentanti delle Istituzioni che oggi piangono la morte di Juan Carrito, ma che fino a ieri hanno agito per tagliare aree naturali protette o per continuare a pianificare interventi invasivi nell’areale dell’orso. È veramente arrivato il momento di ipotizzare e realizzare per l’Appennino centrale uno sviluppo sostenibile attraverso la conservazione della sua straordinaria biodiversità.

Ah l’uomo…

3 Commenti

  1. L’unico articolo che ha raccontato le cose come stanno, che ha detto la verità, che ha reso giustizia a questo sfortunato orsetto. Ciao piccolo!

  2. Ci stanno poche chiacchiere da fare. La tragedia era ovvia. Le colpe sono di tutti:ristoratori ,curiosi e istituzioni soprattutto. Hanno invaso il suo habitat in ogni modo possibile e costruito dove non dovevano. Inoltre bastava installare recinzione e dossi artificiali con multe da 1200€ e ritiro della patente a chi supera i limiti in quella zona. Chi lo ha investito è del posto, non venitemi a dire sia una disgrazia, è scelleratezza e menefreghismo. Quell’orso non meritava quella fine ma in Abruzzo e in Italia non siamo capaci nemmeno di tutelare i simboli o le pochissime cose ultime belle cose che ci sono . Provo solo schifo.

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